sabato, 07 settembre 2024
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Accoglienza: il grande “hub” non è la soluzione

Quello delle Serena a Treviso, o della Croce Rossa, a Jesolo, è un modello fallito, che non aiuta le persone a integrarsi. L’accoglienza diffusa, però, è da costruire, con le poche risorse dei Comuni. Ma non mancano idee per mettersi in gioco

C’è stato un momento in cui era perfino vietato parlare di “accoglienza diffusa” dei migranti che sbarcano sulle coste italiane e vengono “ridistribuiti” sul territorio. Se un sindaco lo avesse proposto, sarebbe stato immediatamente processato dal suo partito e gettato in pasto alla rabbia della cittadinanza.

Con il passare del tempo, ci si è accorti che i migranti sbarcano sia se al Governo c’è la sinistra sia se c’è la destra, se c’è Conte, Draghi o Meloni.

Faticosamente, anche di fronte alla constatazione che le nostre aziende chiedono a gran voce manodopera straniera, si sta facendo strada, in tutti i partiti l’idea che il fenomeno migratorio va gestito.

Sono stati il presidente del Veneto Luca Zaia e il sindaco di Treviso Mario Conte, entrambi leghisti, a parlare apertamente di “accoglienza diffusa”. Hanno ricevuto sia appoggi che critiche. Ma, complessivamente, l’idea va avanti. L’alternativa, del resto, è quella dei grandi “hub” allestiti in fretta dalle prefetture. Che sia preferibile una collocazione in piccoli gruppi, pare abbastanza logico. Certo, questa strada si può percorrere solo costruendo reti, solo se ciascuno si prende il suo pezzo di responsabilità. Ma è proprio per questo che esiste la politica.

I sindaci, su questo, sono d’accordo. No al grande “hub”, come le “Serena” a Treviso. Un modello fallito, che non aiuta le persone a costruirsi un progetto di vita, né a integrarsi. L’accoglienza diffusa, però, è da costruire.

Paola Roma, sindaca di Ponte di Piave, nonché presidente della Conferenza dei sindaci dell’Ulss 2 Marca Trevigiana, porta l’attenzione sul quadro generale. “Quello che sovente non si considera, quando si affronta la questione accoglienza diffusa, è che questa non può limitarsi a offrire un vitto e un alloggio ai migranti, le uniche voci che l’Unione europea ci riconosce come costo. Bensì, è una questione molto più ampia e complessa di quella che intravediamo a un primo sguardo, se intendiamo dare alle persone un’accoglienza degna di questo nome, offrendo percorsi di integrazione sociale. Innanzitutto, nel processo di accoglienza dei migranti sono coinvolti molti Enti (Unione europea, per arrivare ai tre Ministeri italiani chiamati in causa, ossia Lavoro, Economia, Interno, per poi arrivare alle Istituzioni locali); serve un coordinamento forte”.

La sindaca Roma analizza la problematica dal punto di vista economico: “Spesso i Comuni aspettano anche 6 mesi per ricevere il rimborso dal Ministero dei soldi spesi, si tratta di costi che dobbiamo caricare nel bilancio sociale dei nostri Enti, dove le risorse sono già abbondantemente risicate”. E, soprattutto, dal punto di vista sociale: “Quando parliamo di migranti, molti provenienti dalle rotte balcaniche, si aggiunge il problema dei minori non accompagnati, ma anche della disabilità, che non va sottovalutata, per essere presa in carico come si deve. Inoltre, per inserire una persona adeguatamente, occorre un’integrazione linguistica, prima ancora che un inserimento lavorativo, percorsi lunghi e complicati. Costi gravosi, che l’Unione europea non considera, occupandosi per ora solo di vitto e alloggio”.

Insomma, il messaggio è: un’accoglienza adeguata e dignitosa richiede una risposta strutturata, fra settore pubblico, privato e non profit, dove ciascuno gioca la sua parte, con alto senso di responsabilità.

Rossella Cendron, sindaca di Silea, la questione dell’accoglienza dei migranti la conosce bene. “Qui in paese ricordo un’esperienza positiva in piccolo gruppo, 4-6 persone richiedenti asilo, che erano state accolte in un appartamento, era il 2010-11. Intorno si creò una rete di solidarietà molto bella, con il coinvolgimento di Caritas e volontari locali, maestre in pensione per insegnare l’italiano, che funzionò e fu un’esperienza di crescita reciproca”.

Per quanto riguarda l’accoglienza diffusa di cui si parla oggi, “ritengo sia la strada necessaria, per quanto difficile essa sia, in quanto non abbiamo disponibilità di alloggi e quelli che ci sono li dobbiamo riservare alle emergenze abitative. Solo accogliendo i migranti in piccoli gruppi, possiamo aiutarli a inserirsi nella società in modo efficace; anzi, dirò di più, abbiamo bisogno di queste persone, ce lo chiedono continuamente le aziende che non trovano lavoratori. Affinché questo si realizzi, abbiamo bisogno di una sinergia fra le parti sociali (parrocchie, Comuni, volontariato, cooperazione sociale, privati) e poi di adeguati strumenti normativi, che consentano a queste persone di lavorare e di integrarsi”. Il sogno ultimo, è quello di poter contare su flussi migratori controllati.

Alberto Teso, sindaco di San Donà di Piave, è a favore dell’accoglienza diffusa. “Ho esplicitato da subito e in modo chiaro la mia posizione, talora scontrandomi con altri colleghi - commenta il primo cittadino della città fluviale - quando parliamo di migranti, parliamo di persone. Non mi piace chi dice «li voglio, non li voglio», sono vite umane e come tali vanno trattate”. Secondo Teso, gli hub, come ad esempio per il basso Piave fu Jesolo, nella sede della Croce Rossa, hanno mostrato tutti i loro limiti: luoghi difficili da controllare, dove spesso si vive in situazioni disagevoli, in promiscuità, con il rischio che prevalga la legge del più forte. “Gestire piccoli gruppi, di 3-4 persone in appartamento - precisa - è sicuramente più semplice, impegnativo, ma di certo più efficace, anche in termini di sicurezza sociale percepita. Infine, il mio è un ragionamento pragmatico: come città, possiamo anche rifiutarci di aderire al protocollo dell’accoglienza diffusa, ma in questo caso, altri, nello specifico la Prefettura, deciderà al posto nostro, imponendoci scelte necessarie. Potendo, io preferisco collaborare, partecipare alla gestione, non subire”. Attualmente, nel comune di San Donà sono già ospitati 44 migranti in accoglienza diffusa.

Silvia Susanna, sindaca di Musile di Piave e presidente della Conferenza dei sindaci dell’Ulss 4 Veneto Orientale, esplicita le preoccupazioni che i suoi colleghi primi cittadini hanno espresso in Conferenza. “Per quanto ci riguarda, l’idea dell’accoglienza diffusa, ad oggi è solo un’ipotesi. Non abbiamo, infatti, ancora ricevuto alcun provvedimento definitivo che ci spieghi con quali modalità operative dovremo gestire i migranti, in quali strutture inserirli, dato che non abbiamo strutture a disposizione e che le problematiche correlate sono molteplici. In generale, tutti i sindaci sono preoccupati, poiché nei nostri bilanci non abbiamo risorse a disposizione da destinare ai servizi per i migranti; gli unici costi che ci vengono riconosciuti, sono quelli per vitto e alloggio, necessari, ma assolutamente non sufficienti”.

A Musile, allo stato attuale, c’è una struttura privata, gestita da una cooperativa sociale, che da 4 mesi ospita 64 migranti.

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