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Don Franco Marton, innamorato di Dio e dell'uomo

Il ricordo a 5 anni dalla morte in una messa nella chiesa di Sant'Ambrogio a Fiera il 23 aprile alle 18.30

20/04/2021

E’ sempre difficile parlare, ricordare chi ha fatto parte della tua vita e, quando ti chiedono di scrivere di don Franco Marton è ancora più impegnativo; proviamo, allora, semplicemente a raccontare condividendo quel poco che posso aver intuito, a cinque anni di distanza dalla sua morte (ci ritroveremo per celebrare insieme l’eucaristia venerdì 23 aprile alle ore 18.30, nella chiesa di Sant’Ambrogio, a Fiera).

Ripensando a don Franco e a quel breve tratto di vita – rispetto ad altri che molto di più hanno conosciuto e apprezzato in lui – sono tre le dimensioni che sono fissate nel mio pensiero e alle quali mi piace ritornare: don Franco innamorato e affascinato da Gesù e dal Padre; la sua attenzione continua e appassionata all’umanità tutta; l’ostinata ricerca dei “segni e semi del Regno” nei fatti, nella storia, nel mondo.

Innamorato e affascinato dal Signore Gesù e quindi instancabile lettore della Scrittura che era sempre nuova, da investigare, da comprendere, da pregare, da offrire spezzata e attualizzata nel Ministero omiletico come la “prima mensa”, alla quale tutti hanno il diritto e il dovere di poter accedere.

Era proprio il suo amore per la Parola che lo portava a scegliere, rivedere, cancellare, riscrivere in una limatura continua e minuziosa, mai maniacale o per il gusto della perfezione, tutto ciò che avrebbe detto, fosse la predica, un intervento, un ritiro predicato a preti, sacerdoti, consacrati o laici: a tutti e per tutti era il suo costante e continuo meditare, ruminare, contemplare.

Dire le parole che dicessero la Parola era la bussola che lo guidava nel preparare le assemblee e le veglie missionarie che, proprio perché dovevano essere un’occasione d’ascolto, dovevano essere riflettute e curate anche nei più piccoli dettagli: come non ricordare le molte riunioni di Segreteria del Centro missionario e le successive “quasi interminabili” prove, perché tutti sapessero cosa, come, quando, dove? A dire il vero, la pazienza a volte finiva, ma, la passione di don Franco era di sprone e di “dovere” a chi collaborava con lui!

Era attento agli uomini e le donne del suo tempo, vivessero accanto e con lui nel quotidiano o fossero dall’altra parte della terra, perché: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (GS, 1). Era questo il suo atteggiamento, il suo modo di guardare alle persone, a ciascuno e ciascuna nella sua individualità, nell’essere creatura amata e voluta da Dio.

La citazione del Concilio permette anche di ricordare il grande amore per la Chiesa, il suo continuo studio del Magistero, il suo fedele e assiduo approfondimento dei testi fondamentali e di quanto, negli anni, è stato scritto, soprattutto nei temi legati alla missione e all’evangelizzazione.

La priorità era data all’oggi della storia e della vita, nella quale stare perché è dentro alle vicende piccole e grandi che Dio, non solo è presente ma, soprattutto, semina e fa crescere il suo Regno. Non c’è altro luogo nel quale sia possibile comprendere e intuire ciò che il Risorto ha detto con chiarezza: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. La storia, i fatti, gli eventi sono le occasioni per intuire il disegno provvidenziale di Dio, il suo essere accanto all’umanità, in particolare quella più povera, sofferente, emarginata, lasciandola libera di quella libertà che nasce dall’amore che solo il Creatore può avere verso la sua creatura.

Il suo deciso e ostinato interesse nel ricordarci che leggere i “segni dei tempi”, anche nell’oggi di questa nostro tempo così dolorosamente segnato dalla pandemia che si è aggiunta ai “soliti mali” - fame, sete, carestie, guerre, violenze, cataclismi naturali, degrado fisico e spirituale…-, può aiutarci a trovare semi di Vangelo, di fraternità, di solidarietà concreta, dove l’annunciare Cristo diventi prendersi cura, dare dignità, donare speranza.

In questo tempo nel quale tutto “sembra” essere come sospeso, in attesa anche nella Chiesa, come non raccogliere la sfida dell’indagare per riconoscere i segni di una rinascita ecclesiale dove i termini sinodalità e corresponsabilità divengano cammino da percorrere insieme, accettando anche di rallentare il passo, fermarsi, forse anche ritornare indietro credendo fermamente che solo il procedere con gli altri costruisce la “casa comune” dove fratelli e sorelle possano sperimentare la comunità che il Vangelo ha annunciato essere possibile.

Segni che, come diceva spesso don Franco, “parlano in forza del loro essere simbolici: se devono essere spiegati non lo sono”. A noi imparare il loro linguaggio.

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