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Villa Emo: la vera questione è che servono idee chiare!

“In tutti i tempi è successo che i luoghi sono stati riusati nei modi più stravaganti - racconta Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton studi e ricerche -. Senza toglierli alla loro essenza sono dunque «rivisitabili»”. Oggi "non ci sono ricette che valgono per tutti, non è sufficiente, o meglio non serve introdurre un nuovo finanziamento. Piuttosto, è necessario progettare il presente e il futuro conoscendo il passato".

Il punto della questione è uno, e non c’è modo di eludere il problema: le nostre ville venete, oltre 3.800 in regione, espressione spesso altissima di cultura, architettura, paesaggio, brand mondiale di richiamo turistico, sono monumenti straordinariamente anacronistici? Cosa si può immaginare per loro che sia sostenibile, bene locale e globale al tempo stesso?
“In tutti i tempi è successo che i luoghi sono stati riusati nei modi più stravaganti - racconta Marco Tamaro, direttore della Fondazione Benetton studi e ricerche -. Senza toglierli alla loro essenza sono dunque «rivisitabili»”.
Che ne pensa di villa Emo? E di questo patrimonio che abbiamo e che spesso fatichiamo a rilanciare?
Oggi non ci sono ricette che valgono per tutti, non è sufficiente, o meglio non serve introdurre un nuovo finanziamento. Piuttosto, è necessario progettare il presente e il futuro conoscendo il passato, con intelligenza, senza essere preoccupati di perdere ciò che si è ma investendo in idee, cultura, iniziative adeguate. Servirebbe molto rilanciare la Fondazione Mazzotti, per quello che è stata in passato, ma soprattutto che può ancora rappresentare: la capacità di conoscere il territorio, la sua storia, e lì pensare a usi intelligenti, non emergenziali.
Alcune ville si sono ripensate in chiave enogastronomica, altre culturale, altre ancora commerciale...
Il mix delle soluzioni possibili è davvero ampio, c’è dentro turismo, commercio, agricoltura, mobilità, residenzialità. Con una buona dose di accurato marketing. Ma alla base restano due aspetti: la necessità di conoscere bene ciò di cui parliamo e chiarezza sul modello di sviluppo che vogliamo per la nostra regione. Il tema delle nostre radici, in fondo, ci riporta proprio all’identità e dunque al patrimonio artistico, culturale, di cui disponiamo. La questione è molto politica.
Qual è il punto di equilibrio che permette la sostenibilità di questi ambienti? Pubblico e/o privato? Locale e/o globale?
Di nuovo, la soluzione non è una soltanto. Quello che conta sono le proposte concrete che partono dalla conoscenza, stanno nelle reti territoriali e si aprono ai contesti più ampi, bilanciano gli interessi privati con quelli pubblici definendo ruoli chiari e consapevoli. Abbiamo nel mondo dei beni culturali competenze importanti capaci di traghettare oltre chiusure e atteggiamenti prevenuti per cambiare prospettive e rilanciare.
Quindi, a lei non suona strana la possibilità di un centro commerciale in villa?
La provocazione di Romeo Scarpa ha fatto esplodere una grande contraddizione: si fa tutto o non si fa niente. E la risposta è stata sintomatica. Non si può. Intanto, però, stanno spianando mezzo paese. L’errore sta nella prospettiva, ci si arrocca a difesa di un principio sacrosanto, ma bisogna stare dentro alla storia, non fuori. Esempi virtuosi ce ne sono.
E delle “cordate di imprenditori” per la cultura che pensa?
Che vengano fuori, che investano per restituire luoghi preziosi alla collettività. Servono fantasia, intelligenza e idee sostenibili. E non guasta, anzi, una chiara volontà politica, perché si deve rispondere alla domanda: tutelo villa Emo o le colline del Prosecco? E ovviamente ci vuole un piano economico serio. Poi, serve un lavoro nei beni culturali più “sportivo”, dove si fa attenzione al “barbaro”, ma ci si apre anche al dialogo con chi ha buone intenzioni. La sola tutela blocca l’iniziativa.

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