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Socio-sanitario, un modello a rischio nella Castellana

Proprio dalla Castellana, territorio dove l’integrazione tra sanità, cooperazione e terzo settore è sempre stata un fiore all’occhiello, si avvertono preoccupanti segnali. “Se continuiamo a spingere all’angolo il terzo settore, metteremo in ginocchio il sociale che si è occupato delle persone fragili offrendo reinserimento lavorativo, percorsi di inclusione, prossimità”, ha avvertito Pasquale Borsellino.

Se non un vero e proprio allarme, certamente una “sveglia”. Che non sa di abbandono del campo o di “rompete le righe” ma che, pur nella legittima preoccupazione, cerca di attutire i colpi e trovare nuove strade di presenza e innovazione. Un campanello di attenzione, che riguarda la salute dei cittadini, il benessere complessivo della comunità.

Arriva dalla terra castellana, quella che ha visto ergersi figure di altissimo spessore ed incisività, come Tina Anselmi e Livio Frattin, e che ha saputo esprimere esperienze di cooperazione sociale e integrazione sociosanitaria di qualità.

 

Benessere globale

“La riforma del sistema sanitario nazionale voluta dall’on. Anselmi e la doppia S.S. - socio sanitario -, che è una specificità della nostra regione sono stati paradigmi essenziali per costruire un modello dove si riconosce che la salute non è cura della malattia (solo) ma equilibrio biopsicosociale - ha sottolineato Pasquale Borsellino, direttore dell’Unità operativa complessa Infanzia Adolescenza Famiglia del distretto di Asolo, intervenendo al convegno “Tina Anselmi: l’utopia della salute per tutti” organizzato la scorsa settimana dalla cooperativa L’Incontro -. Ora tutto questo sta declinando, perchè siamo distratti e non riteniamo più che la salute sia un bene comune, cui tutti dobbiamo contribuire. Invece sono i legami a creare la ricchezza di un territorio, non solo il suo Pil o il numero di aziende attive”. Le relazioni creano rete, assistenza e cura; non tutto si può monitorabile con modalità prestazionali. “La salute sta nella comunità locale, capace di autocurarsi con la forza dei legami. E il terzo settore - ha ribadito Borsellino girando così un assist a Luca Mazzon, presidente della cooperativa L’incontro intervenuto subito dopo - gioca un ruolo fondamentale nella generatività sociale. Se continuiamo a spingerlo all’angolo, metteremo in ginocchio il sociale che si è occupato delle persone fragili offrendo reinserimento lavorativo, percorsi di inclusione, prossimità”.

Gare d’appalto al ribasso, scelte collegate alla riduzione dei costi (legittime), tendono a non garantire il lavoro di continuità sul territorio, la rete che negli anni si crea e che appunto favorisce salute.

 

La salute è “della comunità”

“Sono preoccupato per le conseguenze della riforma sanitaria regionale che fatica a trovare aderenza ai principi che hanno contraddistinto l’integrazione socio-sanitaria Veneta - ha ribadito Mazzon -. L’attuazione di un’azienda unica per la provincia di Treviso ha evidenziato inevitabili problematiche organizzative, gestionali e soprattutto di interlocuzione con il territorio”.

Inoltre, ha ricordato che l’applicazione delle nuove delibere regionali per alcuni servizi residenziali della salute mentale e per i servizi diurni per la disabilità ha portato innanzitutto a una diminuzione delle rette ma soprattutto alla ridefinizione dei Livelli essenziali di assistenza, che ha spostato sull’utente - o su famiglie o Comuni, a seconda delle capacità economiche - un maggiore carico di spesa sociale per la non autosufficienza, con la conseguente e inevitabile difficoltà.

“Oggi il modello che sembra delinearsi non è più quello della “presa in carico” della persona e dei suoi bisogni, bensì della promozione di una pluralità di offerta da parte di erogatori di servizi pubblici e privati in competizione tra di loro, dove l’assistito può rivolgersi “come una sorta di supermercato” con un voucher - chiamato impegnativa di cura, impegnativa di residenzialità, assegno sociale - al miglior offerente, dove migliore è molto probabile che abbia che fare con il prezzo più che con la qualità del servizio”.

 

Patrimonio collettivo

Il modello di partenariato con l’ente pubblico fortemente perseguito da L’Incontro, ha portato in questi trent’anni ad investire almeno 15 milioni di euro su strutture pubbliche, nella convinzione che la cooperativa rappresenta un patrimonio della collettività e tale deve rimanere anche la ricchezza che essa produce, da rigenerarsi in nuovi progetti e servizi per la comunità dove essa è radicata.

“Oggi questi investimenti fatti non rappresentano più un valore, anzi paradossalmente ci si ritorcono contro, poiché, con la nuova normativa regionale, con il nuovo codice degli appalti, sono premiate le cooperative che si sono capitalizzate con un proprio patrimonio immobiliare e che grazie alla proprietà possono accreditare i propri servizi e quindi avere continuità di lavoro attraverso gli accordi contrattuali con l’Ente pubblico. All’opposto chi come noi ha sviluppato servizi nelle strutture di proprietà pubblica, viene messo in gara d’appalto magari al massimo ribasso economico e quindi succube di una costante precarietà”.

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