domenica, 20 aprile 2025
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Ancelle missionarie: in Myanmar tra la gente per seminare pace

A quasi tre settimane dal sisma “la situazione rimane tragica”

Con l’aiuto della trevigiana suor Rosanna Favero, che si trova nelle Filippine, abbiamo preso contatto con le suore birmane della Congregazione delle Ancelle missionarie del S. Sacramento, presenti in Myanmar. Ci raccontano che a quasi tre settimane dal sisma “la situazione rimane tragica”.

Istantanee. “E’ ancora difficile avere un quadro preciso dei danni e delle vittime – ci spiegano le religiose -, ma il Paese, già gravemente provato dagli effetti della guerra, appare, oggi, ancora più frammentato, la mancanza di comunicazioni aumenta il senso di abbandono, impotenza e miseria. I soccorsi sono insufficienti, e il numero delle persone rimaste sotto le macerie è impossibile da determinare. Si parla di quasi 4 mila morti, ma si contano decine di migliaia di dispersi, senza contare quanti hanno perso tutto, e le strutture che continuano a crollare”.

Manca l’elettricità, anche se questo si fa sentire soprattutto nelle città, poiché in molte aree del Paese l’energia elettrica è assente da tempo a causa del conflitto. Scarseggiano l’acqua potabile e i viveri. Diverse fonti riportano che i convogli umanitari faticano ad arrivare a destinazione, sia per l’inagibilità delle strade, sia per altri ostacoli.

Il Paese, proseguono, “vive una situazione disastrosa dal 2021, in particolare nelle aree dove è più attiva la resistenza dei gruppi armati etnici. Lo Stato Kayah, dove alcune di noi ci troviamo, è una di queste zone. Precisamente siamo a Loikaw che dista circa 250 km da Mandalay, epicentro del terremoto, e circa 150 km da Nay Pyi Taw, la nuova capitale, che, come Mandalay, ha subito gravissimi danni”.

Quotidiana incertezza. In un Paese a prevalenza buddista, la presenza dei cristiani - pari all’1,5 per cento - continua a essere tollerata. A Loikaw, un quinto della popolazione è di religione cristiana, ma, nonostante questo, anche le suore vivono come sfollate interne, da oltre un anno, vista la situazione di insicurezza e di violenza. Nel raccontarci la loro quotidianità, ulteriormente appesantita, dalle ferite del sisma ci dicono che “la prima necessità rimane la pace e poter tornare nei propri luoghi. Non possiamo parlare di tornare nelle “case”, perché molte non esistono più... Le esigenze quotidiane sono pertanto legate alla sopravvivenza: assistenza medica, istruzione scolastica, accesso al cibo e all’acqua. Nulla di tutto questo è garantita nei campi. L’incertezza, il rischio costante e la dipendenza dagli aiuti umanitari sono diventati compagni quotidiani”.

Le suore, così come gli altri operatori pastorali presenti, si impegnano per organizzare la scuola, la vita sociale e l’assistenza spirituale all’interno dei campi. Cercano anche di promuovere attività lavorative, soprattutto nella coltivazione, nell’allevamento, nella produzione di saponi, abiti e altri beni essenziali, con i pochi mezzi a disposizione, sempre poveri e insufficienti”.

Ripari “antisismici”. Alla domanda di come sono strutturati i campi dove vivono insieme ai rifugiati di varie etnie e religione, ci spiegano che i “ripari costruiti con legno, bambù e tendoni di plastica, hanno limitato i danni in occasione delle scosse. I campi profughi si trovano in zone montuose o di foresta: sono i “vecchi villaggi”, come li chiamano, nati dal bisogno di lavorare la terra. Poi, per motivi di sviluppo e a causa della guerra, la popolazione si è spostata verso i centri abitati”.

“Nei villaggi restano solo alcune strutture in muratura, come le chiese e qualche scuola, ed è proprio queste che sono crollate durante il terremoto del 28 marzo, già indebolite dai continui attacchi aerei”.

Sogni spezzati. La gente è profondamente provata. Chi si trovava in città si è ritrovate all’improvviso senza nulla, costrette a fuggire, spesso con le famiglie divise. Sottolineano come, nonostante tutto, il popolo birmano “è un popolo di fede. Continuano ad affidare a Dio le loro vite, il futuro, la protezione per i loro bambini e le loro famiglie. Ma le tante sofferenze, i lutti, le ingiustizie minano la speranza, indebolendo i sogni di un domani migliore. Il terremoto ha portato nuove paure, ha aggravato l’incertezza e alimentato il timore di essere dimenticati”.

Nel raccontare i pensieri e i sentimenti della gente si pongono una domanda, perché la facciamo nostra, ora che la tragedia non fa più notizia nei nostri telegiornali. “Come arriveranno gli aiuti ora che i ponti sono crollati, le strade sono bloccate e i posti di blocco sono ancora più aggressivi?” Purtroppo, ci dicono, “sono continuati gli attacchi aerei e le violenze nonostante il terribile sisma”.

Gli ultimi degli ultimi. “Tutto il Paese vive in uno stato di profonda vulnerabilità, aggravato ulteriormente dal recente terremoto, che ha demolito ogni senso di sicurezza, autosufficienza, anche per chi viveva nelle città. Ma certamente, tra tutti, i più fragili restano i bambini, gli ammalati e gli anziani. Sono loro a soffrire maggiormente le conseguenze della guerra e del disastro naturale.

Anche i giovani sono in grande pericolo: continuano a essere perseguitati e braccati per l’arruolamento forzato, vivendo in un clima di costante paura e insicurezza”.

Non abbassare lo sguardo. Un popolo che da anni porta la croce con le molte ferite ma che si affida Dio, alla sua Misericordia e alla sua Provvidenza. E in occasione della Settimana Santa le Ancelle missionarie, la cui superiora generale è la trevigiana suor Giusy Sozza, “confidano nella preghiera di quanti pensano a noi e ci manifestano la loro solidarietà e bene, perché c’è il timore che presto il nostro paese non faccia più notizia, mentre la situazione continua a rimanere tragica non solo per il terremoto ma per la guerra. Abbiamo bisogno di sostegno per continuare a tenere viva la speranza”.

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