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Speedline: pensare e intuire il futuro

"Le luci dovrebbero rimanere accese per tre motivi. Il primo è per continuare a tenere viva l’attenzione sull’esito delle trattative sindacali come segno di solidarietà ai lavoratori. Secondo, perché la crisi di quell’azienda non rappresenta una ferita solo per i suoi dipendenti e per la comunità, ma attraversa un’area ben più vasta. Terzo, è che ciò che accade nel polo produttivo del Salese, per la quarta volta in meno di mezzo secolo, può aiutare a pensare e intuire il futuro"

18/02/2022

L’aumento esponenziale dei costi dell’energia sta costringendo i Comuni a spegnere le luci delle piazze. Ma c’è una piazza in cui la luce non dovrebbe mai spegnersi: è quella della Speedline. E’ una delle aziende più note e prestigiose del Polo industriale di Santa Maria di Sala e di tutto il Miranese. Fornisce cerchioni alle auto simbolo del Made in Italy: Ferrari e Lamborghini. Nel suo piazzale si sono radunati nel periodo natalizio i 605 dipendenti con le loro famiglie per protesta contro la decisione della proprietà svizzera - per ora sospesa - di delocalizzare la produzione in Polonia. Con loro quel sito è diventato simbolicamente “la piazza” dove oggi si discute di occupazione e di futuro per tutto il Miranese, per l’intera area metropolitana, fino a Padova e Treviso, anche grazie alla presenza a fianco dei lavoratori di tutte le istituzioni, comprese le Diocesi con i Vescovi Moraglia e Tomasi.
Le luci dovrebbero rimanere accese per tre motivi. Il primo è per continuare a tenere viva l’attenzione sull’esito delle trattative sindacali come segno di solidarietà ai lavoratori. Secondo, perché la crisi di quell’azienda non rappresenta una ferita solo per i suoi dipendenti e per la comunità, ma attraversa un’area ben più vasta. Terzo, è che ciò che accade nel polo produttivo del Salese, per la quarta volta in meno di mezzo secolo, può aiutare a pensare e intuire il futuro, non solo della Speedline, e il significato, qui e oggi, di due parole fondamentali: lavoro e territorio.

Laboratorio da 40 anni. La prima volta fu nel 1982. Enzo Rullani, allora docente di Economia a Ca’ Foscari, e Bruno Anastasia, di Veneto Lavoro, spiegarono come anche a S. Maria di Sala il Veneto entrava nella fase post-fordista. La manodopera in esubero, uscita dal polo industriale di Porto Marghera in crisi alla fine degli anni Settanta, tornava nelle “periferie” ancora soprattutto agricole, contribuendo alla proliferazione di decine di piccole e microimprese, spesso familiari, cresciute accanto ad altre medio-grandi, alcune di loro poi divenute famose a livello mondiale, come l’Aprilia di Noale.

E con loro in vent’anni è cambiata l’identità di un territorio. I dati di questo cambiamento sono documentati nel 2000 da Giancarlo Marcato e da Giuliano Zanon nel Rapporto Coses “Analisi e proposte per la redazione del Patto Territoriale del Miranese”. Il loro studio dimostrava che con il “tramonto” di Porto Marghera si era andato a configurare sulla Noalese un nuovo assetto socio-economico: dal centro industriale veneziano si passava a un pulviscolo di punti produttivi su cui si intersecava una nuova direttrice di flussi locali e mondiali. Partendo da Padova si snodava su Santa Maria di Sala, Noale e Scorzè verso Treviso, in direzione Oriente. Siamo alla fase due, e nel 2001 dichiarava il prof. Marcato che il Salese per crescita economica esponenziale assomigliava al Giappone. Lungo quell’asse che connetteva tre province, ovvero Padova, Venezia e Treviso, la cintura locale si era intersecata a livello globale con una delle “arterie” industriali più importanti d’Europa: quella che va dalla Baviera alla Romania e alla Bulgaria, al mondo.
Qui scorrono i flussi della “catena della produzione globale” studiati dal sociologo Aldo Bonomi. Così globale che quando nel 2008 a New York fallisce la Lehmann Brothers, di riflesso nel Comprensorio del Miranese in poco più di tre anni chiudono 1.635 aziende, più di un quinto.

Dopo la crisi globale, la pandemia. Poi si riparte, fase tre, ma il Covid rimescola ancora le carte, fase quattro. Per questo, ciò che accade oggi a S. Maria di Sala va osservato e pensato con lo sguardo alto. Perché qui passa l’arteria del capitalismo molecolare del Miranese che si innesta nella Pa.Tre.Ve, la “Metropoli policentrica” tra Padova-Treviso-Venezia, e poi nel corpo più ampio della LO.VE.R: l’area LOmbardia-VEneto-Emilia-Romagna, cuore pulsante dell’economia italiana. Da qui passa il futuro, della Speedline e di tutti noi.
Dinanzi al rischio di chiusura per delocalizzazione dell’azienda qualche esponente politico ha dichiarato che “è necessario studiare un dispositivo che obblighi le multinazionali a legarsi al territorio”. Questa frase rappresenta un ossimoro. Le multinazionali sono per definizione “liquide”, cioè si muovono costantemente attraverso luoghi e flussi mondiali, alla ricerca di reddittività, rimettendo in discussione le forme, i luoghi, i tempi della produzione del valore globale. Ed in un mercato globale non sono le imprese che devono essere obbligate ai territori, sono i territori che devono essere attrattivi per le imprese.

Smart working, il lavoro fuori dall’impresa. Il Covid ha portato con sé un altro fenomeno, potenzialmente foriero di tensione sociale nel mondo del lavoro: la remotizzazione della produzione attraverso la diffusione dello smart working, con molte persone che escono dai luoghi e dalle comunità tradizionali del lavoro. Delocalizzazione e smart working, sono due esempi di un fenomeno che caratterizza il nostro tempo ben descritto da Bonomi: l’uscita del lavoro dalle mura dell’Impresa, dalle forme tradizionali della produzione industriale, entrando in una forma di “neo-industrialismo”.
Tutto ciò mentre la pandemia ha allargato le fratture sociali, generando rancore.
Di fronte a questi cambiamenti occorrerebbe, allora, ripensare le forme e il governo dei territori, ricostruendoli come “comunità di senso”, capaci di diventare nuove piattaforme di lavoro, e di vita. Forse è necessario ricominciare a riflettere, di nuovo, su una “alleanza per lo sviluppo del Miranese”. Ho usato il termine “ri-cominciare” perché su questo tema non si partirebbe da zero. La riflessione è già iniziata nel 2008, nell’ambito del progetto “Di dove sei?” voluto dalle Acli. Oggetto della riflessione era il fenomeno della città che usciva dalle sue mura, con profonde conseguenze sulla vita delle persone e composizione delle comunità. Ora ad uscire dai suoi confini è l’Impresa. Eravamo già di fronte a un salto d’epoca, a una fase di metamorfosi e non di transizione, il Covid l’ha accelerata. Per questo, quando usciremo dalla pandemia, occorrerà essere pronti ad affrontarla. E sarà una sfida da giocare a livello locale e globale, che vedrà i territori, non solo le città, come giocatori che devono vivere la partita, o accettare di uscire dai circuiti della produzione. Oggi rischiano di uscirci i lavoratori della Speedline, domani chissà.

Territori che sperimentano il nuovo. Già qualche anno fa l’economista Stefano Zamagni spiegava che la globalizzazione ha fatto “risorgere l’importanza della dimensione locale. (…) Oggi sono i territori i luoghi privilegiati in cui si sperimenta il nuovo e dai quali provengono i più significativi impulsi allo sviluppo”. Occorre promuovere la consapevolezza che “è il territorio che funge da attrattore per le attività economiche”. Sarebbe allora auspicabile pensare al futuro del Miranese come piattaforma territoriale. Non un distretto produttivo, ma una costruzione di combinazioni a geometria variabile, dove si intersecano territorialità e globalità, dentro la quale gli attori locali si muovono in orizzontale e in verticale.
In orizzontale: nel senso di saper interpretare i flussi economici e industriali cercando di capire come generare servizi qualificati alle imprese: dalla formazione del capitale umano ai servizi. Sulla formazione, le Scuole Superiori di Mirano e non solo, in cooperazione con le imprese, le associazioni produttive e le Università di Padova e Venezia potrebbero giocare un ruolo fondamentale. Anche su questo non siamo all’anno zero. Già nel 2010 il circolo Acli di Mirano qualcosa ha iniziato, e la recente nascita dell’Its (Istituto tecnico superiore) dimostra che è possibile.

Un’altra azione orizzontale esemplare, capace di intercettare opportunità e flussi nel settore della promozione culturale territoriale è quella realizzata, per esempio, dal presidente delle Acli di Mirano Alberto Sbrogiò, che ha lavorato alla costruzione della Rete internazionale dei “Luoghi del Tiepolo”. Una Rete che prossimamente chiederà di essere riconosciuta dal Consiglio d’Europa. Sono esempi di come si possa agire in orizzontale nella capacità di leggere luoghi e flussi, per offrire opportunità che propongano il territorio come luogo di interconnessione globale, un’area dove sarebbe utile investire.

Territorio, bene comune. Accanto a un’azione orizzontale sarebbe altrettanto fondamentale partire da un’azione verticale per costruire una “coscienza di luogo”. Che significa, nelle nostre comunità, promuovere una consapevolezza diffusa del nostro patrimonio culturale, economico, sociale ed ambientale, materiale e immateriale. Sarebbe il primo modo per renderlo prezioso, di appropriarci del nostro bene comune, per meglio custodirlo e poi per offrirlo al mondo. Diventerebbe in primo luogo identità comune, forse più solidale, e utile in un’epoca in cui i flussi cancellano i volti di interi luoghi, rendendoci sempre più fragili, insicuri, rancorosi.
Perché, come scrive l’urbanista Alberto Magnaghi, “il territorio è un immenso patrimonio culturale collettivo, intergenerazionale, vivente, denso di saperi, di arti, di scienze, dotato di identità percepibile con i sensi attraverso i suoi paesaggi”. E’ il bene comune per eccellenza. Tre gli elementi che potrebbero caratterizzare la nostra “coscienza di luogo” per progettare uno sviluppo sostenibile del territorio dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, per costruire quel “nuovo umanesimo sociale e ambientale” che auspica Bonomi.

Il Miranese potrebbe aspirare a essere “Terra dell’acqua”, sia nel significato che si raccoglie nell’egida del “Patto del Muson”, sia nell’ottica della consapevolezza della preziosità di questo elemento per la vita, per l’assetto idrogeologico e agricolo dell’area. Essere “Terra del dialogo”: luogo dove si incrociano culture e si condivide pensiero, come si è cercato di fare con la Cena interreligiosa dell’oca dal 2015 a Mirano e con la Zucca a Salzano nel 2021. Essere “Terra del futuro”: dove l’innovazione e lo sviluppo economico vengono costruiti nell’ottica della sostenibilità. Su questi temi studia da anni la prof. Valentina De Marchi, docente di Economia e Gestione d’Impresa all’Università di Padova; e a Mirano la “Casa dell’Energia” della Cittadella scolastica è un esempio di buone pratiche.

Per raggiungere questi obiettivi occorrerebbe tessere sempre di più reti di collaborazione tra Pubblica Amministrazione, Impresa, Formazione, Terzo settore. La recente ri-vitalizzazione dell’Intesa Programmatica d’Area del Miranese, affidata all’Unione dei Comuni della Terra dei Tiepolo può diventare allora una grande opportunità. Non attendiamo la prossima crisi industriale per interrogarci su una visione di territorio nel nostro “Mondo Novo”, incerto proprio come quello dipinto da Giandomenico Tiepolo nella sua terra.

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