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E' il virus che limita la nostra libertà, non il green pass

Nella fase di emergenza pandemica è evidente che le misure per combattere la diffusione del contagio a tutela della salute (art. 32 Cost.) sono considerate prevalenti rispetto ad altri diritti, pur preziosissimi.

C’è una storiella simpatica e autoironica tra gli ebrei ultraortodossi che considerano il cane un animale impuro: “Se vedi un uomo con un cane, o l’uno non è un ebreo o l’altro non è un cane”. Le due cose - l’ebreo e il cane - non possono stare insieme. E il rispetto ossessivo del principio giuridico costringe, in alcuni casi, a negare anche la realtà dei fatti. Un processo argomentativo non dissimile da questo è, a mio parere, alla base delle posizioni di chi considera le disposizioni attuali contro la pandemia - e l’obbligo del green pass in particolare - come un abominio costituzionale che andrebbe a ledere il principio supremo della libertà personale. Non c’è dubbio che, preso in sé e isolato dal contesto, l’obbligo imposto a ciascuno di noi di esibire un certificato vaccinale per sedere al ristorante o prendere un treno si ponga in palese violazione della libertà di circolazione.
Libertà scolpita dall’articolo 16 della Costituzione, per il quale “ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”.
Non solo: l’obbligo del green pass potrebbe essere astrattamente in contrasto anche con altri principi costituzionali: quello di libertà di riunione (art. 17 Cost.), quello di divieto dei trattamenti sanitari obbligatori (art .32) e delle discriminazioni, in questo caso tra vaccinati e non vaccinati (art. 3) e più in generale il principio della libertà personale (art. 13). Ovvio che compiendo il semplice raffronto tra principi costituzionali (più o meno “supremi”) e obbligo del green pass, qualcuno gridi allo scandalo e all’avvento dello stato autoritario. Senonché, la dottrina costituzionalistica e la stessa Corte costituzionale hanno da tempo chiarito che i principi costituzionali non sono delle “monadi”, dei totem isolati e impermeabili l’uno dall’altro.
Al contrario, “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe «tiranno» nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (Così testualmente la Corte costituzionale, sentenza 85/2013).
E’ riconosciuto, quindi, che nel concreto si verifichino situazioni in cui più precetti costituzionali possano essere in conflitto l’uno con l’altro: e in questi casi è necessario compiere uno sforzo di “bilanciamento” tra i principi, individuando, con argomentazioni possibilmente fondate su dati oggettivi, quale sia il principio prevalente e come sia possibile non comprimere totalmente gli altri diritti.
Nella fase di emergenza pandemica è evidente che le misure per combattere la diffusione del contagio a tutela della salute (art. 32 Cost.) sono considerate prevalenti rispetto ad altri diritti, pur preziosissimi, perché, come ha ricordato il Presidente della Repubblica qualche giorno fa, è il virus a limitare la libertà, non le misure volte a contenerlo. La scelta del Governo di limitare alcuni diritti fondamentali per tutelare la salute può quindi essere discussa sul piano della opportunità politica, ma non su quello della legittimità costituzionale. E’ chiaro, nondimeno, che se è assolutamente sano il dibattito su quale diritto in questa fase di emergenza sia prevalente anche al fine di evitare che vengano messi in atto abusi e sacrifici ingiustificati, ogni discussione dovrebbe partire da alcuni dati oggettivi condivisi, tra cui quello, che ci è indicato dalla scienza, che solo il vaccino è, allo stato delle conoscenze, in grado di limitare la circolazione del virus. Se si nega questa evidenza, affermando che il Covid è una semplice influenza e che la campagna vaccinale è un complotto organizzato per metterci tutti sotto controllo, ogni discussione non può nemmeno cominciare. E ci troveremmo come quei rabbini che, vedendo un ebreo con il proprio fido al guinzaglio, concludono semplicemente che quello non può essere un cane. Queste posizioni contro-fattuali ci pongono in un vicolo cieco, perché antepongono un principio assolutizzato - in questo caso la difesa strenua della libertà individuale - a un onesto confronto con la realtà, obliterando le responsabilità personali e collettive a cui essa ci chiama.

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