Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Un referendum è... per sempre. La Bolivia decide su Morales
Per la Bolivia quella di domenica prossima, 21 febbraio, sarà una data cruciale. I cittadini dovranno scegliere se mettere una forte ipoteca sulla vita politica nazionale, fino al 2024, consentendo un'ulteriore rielezione del presidente socialista. La Chiesa non si pronuncia ufficialmente, ma l'arcivescovo di S. Cruz, mons. Gualberti avverte: "Viviamo l'adolescenza della democrazia, il rischio del caudillismo è sempre presente".

Per la Bolivia quella di domenica prossima, 21 febbraio, sarà una data cruciale. I cittadini dovranno scegliere se mettere una forte ipoteca sulla vita politica nazionale, fino al 2024. Ufficialmente si tratta di un referendum per consentire una modifica della Costituzione ed estendere, per le principali autorità dello Stato, la possibilità di portare da due a tre i possibili mandati consecutivi. In pratica, è un plebiscito sulla figura del leader incontrastato del Paese, il presidente Evo Morales. Il quale in realtà è già al suo terzo mandato. Ma il primo, dal 2006 al 2009, non viene “conteggiato” perché antecedente all’approvazione della nuova Costituzione. Morales è stato poi votato dai boliviani a fine 2009 e a fine 2014. E punta a ricandidarsi nel 2019.
Il voto in Bolivia assume anche un significato particolare per tutto il continente e in particolare per la sinistra, che dopo un decennio di vittorie elettorali, ha avuto diversi passaggi a vuoto: dal tramonto del kirchnerismo in Argentina alla sconfitta dei chávisti di Maduro in Venezuela, dagli scandali che hanno coinvolto Dilma Rousseff in Brasile alle spaccature che in Perù impediscono di avere candidati competitivi alle imminenti Presidenziali. Ormai Morales è, con l’ecuadoriano Correa, il leader dell’izquierda latino-americana. E del resto, proprio questo “culto della personalità”, quasi una “chávizzazione” dell’ex sindacalista dei cocaleros, è ciò che allarma coloro che sono perplessi sul referendum.
Un dibattito molto acceso
In questo dibattito referendario, la Chiesa boliviana è stata spettatrice attenta. Pur senza prendere una posizione esplicita, ha cercato di illuminare le coscienze e creare le premesse per un rafforzamento della democrazia e della società civile. In un comunicato, giovedì scorso, ha esortato tutti a votare con libertà e responsabilità, sottolineando che “il voto è un diritto da esercitare in modo segreto e personale. Pertanto dobbiamo esprimerlo senza costrizioni o minacce di alcun tipo”. In vista di questo delicato appuntamento il Sir ha avvicinato mons. Sergio Gualberti Calandrina, bergamasco di origine, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra. “In genere - ci dice - la società boliviana partecipa molto ai processi elettorali, e questo referendum non fa eccezione. Anzi si constata un maggior grado di interesse. La popolazione è polarizzata in due parti, attualmente in parità. Gli uni legittimano la tesi di una ‘democrazia sostantiva’, secondo la quale il Governo lascia in mano al popolo la decisione di cambiare la Costituzione. Gli altri appoggiano la tesi della ‘democrazia procedimentale’, secondo l’alternanza nel potere è un valore imprescindibile della democrazia stessa. Il dibattito è molto acceso”.
Tante questioni irrisolte
Chiediamo a mons. Gualberti se, guardando con serenità alla situazione della Bolivia, l’avvento di uomini nuovi potrebbe essere auspicabile. “In ogni paese - ci risponde - l’avvicendamento delle autorità e l’avvento di nuove persone nella vita politica e sociale è sempre garanzia di democrazia. E questo vale ancor di più in un paese come la Bolivia, che vive in democrazia da trent’anni solamente. Stiamo vivendo l’adolescenza della democrazia, con tante speranze, ma anche con tante contraddizioni, è sempre presente la tentazione del caudillismo e dell’autoritarismo Inoltre i cambiamenti che la globalizzazione sta portando rapidamente richiedono autorità che sappiano rispondere alle molte sfide che pone questa realtà in rapido mutamento”.
E nel Paese non mancano tante questioni irrisolte. “Va detto - riflette l’arcivescovo - che non sono mancati risultati significativi in questi dieci anni di Governo del Movimento Al Socialismo, come l’inserimento a pieno titolo degli indigeni nella vita del paese e come la diminuzione della mortalità infantile e l’accesso all’educazione di quasi la totalità delle nuove generazioni. Anche a livello economico abbiamo un epoca di ‘vacche grasse’ con una crescita del Pil superiore al 5%”. Tuttavia, “questi benefici non si sono distribuiti in maniera equa, favorendo principalmente a settori legati al Governo e neppure sono stati investiti per la crescita dei settori produttivi. Dall’anno scorso, si stanno sentendo gli effetti della crisi mondiale, e in particolare del ribasso dei prezzi del petrolio e dei minerali, problema che ripercuote come sempre nei settori e gruppi piú poveri”. Ancora, “ci sono altre pendenze gravi e urgenti, come la corruzione generalizzata, il narcotrafffico, la giustizia sottomessa al potere politico, la violenza privata e pubblica con varie morti causate dalle forze dell’ordine, l’insufficiente attenzione al sociale, la polarizzazione e l’intolleranza che causa gravi tensioni”.
E’ visibile l’effetto Francesco
Tra i segni di speranza, gli effetti positivi lasciati dal viaggio di papa Francesco, che ha visitato tra l’altro Santa Cruz de la Sierra: “I molti gesti e le parole di vicinanza e semplicità di papa Francesco hanno lasciato profonde tracce di amore e gratitudine, tracce che ci hanno riempito di gioia e speranza, in particolare i poveri e gli emarginati. Sicuramente la sua testimonianza ha animato tutti a continuare nella ricerca sincera di unità e libertà, per superare tensioni, conflitti e divisioni che rendono difficile la marcia del paese. A livello ecclesiale, poi, il Papa ci ha chiamati a essere una Chiesa piú aperta, dialogante, impegnate con gli scarti della società, una Chiesa missionaria. Molti laici, in particolare i giovani, hanno rafforzato il loro impegno ecclesiale. Quest’anno un buon numero di giovani dell’Oriente della Bolivia ha chiesto di essere accolti al Seminario di Santa Cruz, dopo vari anni di crisi vocazionale”.