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Tra le macerie dell’Ospedale pediatrico di Kiev. Primario terapia intensiva: “Non ci arrenderemo alla morte”

Prima tappa della missione Mean a Kiev, l’ospedale Okhmatdyt, il più grande istituto pediatrico dell’Ucraina colpito lunedì 8 luglio da un missile russo che ha centrato il reparto di dialisi e il reparto di rianimazione. Il primario del Reparto di medicina e terapia intensiva racconta cosa è successo durante l’attacco, l’eroismo dei medici, la solidarietà dell’intera città ma soprattutto la forza di rialzare la testa e riportare a piena funzionalità la struttura. Gli attivisti italiani hanno ascoltato e visitato i luoghi del disastro in silenzio. Poi si sono presi per mano ed hanno recitato la preghiera universale del Padre Nostro

Peluche buttati per terra. Bambole, giocattoli e macchinine messi dentro sacchi bianchi, lasciati sui marciapiedi, tra calcinacci, polvere e pezzi di ferro. Le macerie sono dappertutto. Anche i coloratissimi murales che erano stati dipinti per accogliere i piccoli pazienti, sono stati sfregiati dalle schegge. C’è odore di bruciato all’ospedale. Il fumo ancora esce dai pini anneriti dal fuoco che si trovano all’ingresso. Addetti del comune stanno lavorando a liberare le struttura. Si scava. Si pulisce. I caterpillar portano via i pezzi più pesanti. Ma i danni sono ingenti. Un intero padiglione dovrà essere buttato giù e interamente ricostruito. È Serhii Chernyshuk, primario del Reparto di medicina e terapia intensiva, a fare la conta dei danni e a raccontare cosa è successo lunedì 8 luglio in quei terribili minuti di inferno quando un missile russo ha centrato la struttura. E’ lui ad accogliere la delegazione del Mean, il Movimento Europeo di Non violenza. Gli attivisti italiani – in rappresentanza di diverse sigle, associazioni e movimenti della società civile – hanno voluto come prima tappa della loro missione a Kiev, rendere omaggio alle vittime e all’enorme sforzo di resilienza messo in atto da tutto il corpo medico e sanitario di questo ospedale. “Il missile – racconta il primario – ha mirato e centrato il reparto dialisi e il reparto di rianimazione. I medici sono riusciti a salvare tutti i bambini che erano attaccati ai macchinari, rischiando con la loro stessa vita. È stato colpito anche il reparto di chirurgia dove i medici, al momento dell’attacco, stavano operando. Hanno però coperto con i loro corpi, i corpi dei piccoli pazienti. Poi messi tutti in salvo, nonostante fossero feriti, sono andati a salvare le persone sotto le macerie”. Tra le vittime c’è anche una giovanissima dottoressa. 5 medici sono rimasti feriti gravi. L’ospedale rappresentava un fiore all’occhiello della sanità ucraina, punto di riferimento con macchinari e servizi di altissimo livello per tutta la popolazione. Erano 600 i bambini ricoverati in questa struttura. Dopo l’attacco di lunedì, l’80 per cento della struttura non è più utilizzabile. Chi poteva tornare a casa, è stato dimesso. Tutti gli altri sono stati portati in altri ospedali. “Grazie al corpo medico, agli operatori sanitari e grazie anche all’aiuto che stiamo ricevendo dall’estero, cerchiamo di far ritornare alla sua piena funzionalità la struttura. Lo faremo nel più breve tempo possibile”.

“Alcuni trattamenti sono unici per tutta l’Ucraina. E’ quindi fondamentale rimettere in funzione l’ospedale”. Ma l’Ucraina è un Paese forte. Viene colpito ma non si abbatte. L’attacco missilistico compiuto lunedì mattina dalla Russia è stato uno dei più gravi da diversi mesi: in tre città, inclusa la capitale Kiev, sono state uccise 41 persone, e in varie parti del Paese ne sono state ferite più di 170. A Kiev in particolare sono stati colpiti due ospedali civili: l’ospedale Okhmatdyt, e una clinica privata per la maternità che si trova dall’altra parte del fiume Dnipro. Qui i morti sono stati 5 e i feriti 8.

“Colpire gli ospedali – dice il primario – significa colpire i luoghi più vulnerabili della società. Ma non abbiamo intenzione di arrenderci. Siamo difendendo la nostra terra e non abbiamo un altro posto dove andare. O eliminiamo il nemico o moriamo. Non abbiamo altra scelta”. Dopo che il primario ha finito di parlare, sul punto esatto dove il missile è caduto, tra murales sfregiati, macerie e calcinacci ovunque, il gruppo del Mean si è stretto nel silenzio e mettendosi a cerchio, prendendosi per mano, ha recitato la preghiera universale del Padre Nostro. “Siamo venuti qui non per vedere ma per essere accanto”, ha detto Angelo Moretti, portavoce del Mean, nel ringraziare il primario. “Per condividere il dolore che sta vivendo questo popolo ed essere testimoni del grande coraggio del vostro popolo. La società civile europea si deve mettere in cammino e venire in questi posti. Noi riporteremo quanto abbiamo visto e lo faremo perché ci possa essere un racconto diverso rispetto a quello che sta succedendo qui”. E Serghiy Chernov, ex governatore della regione di Kharkhiv, rivolgendosi ai volontari italiani, ha detto: “Mi inchino a voi che avete avuto il coraggio di essere venuti qui in questo momento così difficile per il nostro Paese e la nostra città. Siete per noi un segno di coraggio che pochi hanno e che ci rafforza”.

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