venerdì, 18 ottobre 2024
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Terrasanta: un israeliano e un palestinese costruttori di pace

L’ora del perdono

E’ passato poco più di un anno dall’attacco di Hamas a Israele. Due popoli, israeliani e palestinesi, sempre più nemici.

Un palestinese e un israeliano sono diventati, invece, costruttori di pace. Il palestinese è Aziz Abu Sarah che ha perso il fratello durante la prima Intifada. L’israeliano è Maoz Inon, che ha perso invece entrambi i genitori il 7 ottobre nell’attacco di Hamas a Israele.

Si erano conosciuti dieci anni prima a una conferenza. Entrambi giovani imprenditori, le loro vite erano corse parallele. A farli reincontrare il dolore seguito a quello che alcuni cronisti hanno chiamato l’11 settembre israeliano. Avuta la notizia che i genitori di Maoz erano stati uccisi il 7 ottobre, Aziz gli scrive un messaggio di solidarietà su Whatsapp. Da quel momento, hanno cominciato a camminare insieme. Insieme li abbiamo visti all’Arena di Pace il 18 maggio, nel lungo abbraccio con papa Francesco. Li abbiamo raggiunti per chiedere di condividere le loro storie.

Maoz Inon: “L’abbraccio con il Papa mi ha cambiato la vita”

“Ci sono tre pietre angolari nel cammino per la pace. La prima è la speranza, la seconda è il futuro e la terza è il perdonare quanto successo”. Lo afferma Maoz Inon, l’israeliano che ha scelto di trasformare l’uccisione dei suoi genitori in occasione per camminare nella via della pace.

“La speranza - spiega - non è qualcosa che possiamo trovare, caricare o delegare a qualcun altro. E’ un cammino che creiamo e costruiamo insieme ad altri, immaginando un futuro migliore e mettendo in atto delle azioni per tradurlo in realtà”.

La seconda pietra “è il futuro. Il futuro è il bene dei palestinesi. Ho dialogato con molti palestinesi, tra cui familiari in lutto per la perdita dei propri cari, provenienti da Gaza e dalla Cisgiodania, e palestinesi con documenti d’identità israeliani. Ho parlato con molte persone influenti di origine israeliana, a livello mondiale. Insieme a loro dobbiamo costruire il futuro e il nostro futuro si basa sulla condivisione delle conoscenze, sul riconoscimento e sull’accettazione dell’uguaglianza, sulla dignità e sulla sicurezza. La terza è la pietra angolare più importante e difficile: il perdono, per costruire insieme il futuro”.

Prosegue l’imprenditore israeliano: “Da quando i miei genitori sono stati uccisi il 7 ottobre, piango spesso. Piango per chi è morto e per chi ancora morirà. Non voglio vivere, però, solo per il presente e per il passato, ma per il futuro. Ho deciso di perdonare Hamas, per aver ucciso i miei genitori. Ho deciso di perdonare il Governo israeliano per aver tradito i miei genitori. Dobbiamo perdonare per il passato e per il presente a tutti: è attraverso il perdono che costruiremo il futuro”.

Quindi, un passaggio sulla situazione che si sta vivendo in questi giorni, con l’attacco al Libano: “Innanzitutto, è un fronte che consiste in molti, molti fronti sui cui potremmo essere dirottati. Da una parte da un politico estremista e da un Governo suprematista, dall’altra da Hamas e i suoi seguaci, e da tutti i movimenti estremisti che hanno dirottato il nostro presente nel nostro futuro. Dobbiamo lottare contro questi estremismi con la costruzione di un’alternativa che si basi sulla speranza, sul perdono e sul futuro. Tutto questo è molto simile alla storia biblica del monte Sinai. Avviene subito dopo che gli israeliti sono fuggiti dall’Egitto e Dio parla loro e chiama Mosè per incontrarlo sulla montagna. Mentre Mosè era sulla montagna, il popolo d’Israele, la gente comune e i capi costruirono una coppa d’oro, e poi tutti attorno cantando la adorarono. Chi per paura, chi per odio, chi per vendetta, chi per la sua bellezza. E questa è la situazione che la regione vive ora”.

Da mesi, Maoz Inon sta portando la testimonianza e la sfida del perdono nel mezzo di una tragedia personale e collettiva. “Si testimonia perdonando - spiega -. Ho scelto la via del perdono per salvarmi. Ho scelto di parlare di quanto sta succedendo «per vendetta» verso il Governo israeliano, che non aveva mantenuto la promessa di proteggere i miei genitori. Ho capito ben presto che solo attraverso il perdono diventavo di nuovo libero. Non ero schiavo del destino che hanno costruito per me e intorno a me. Sono riuscito a rompere la cella della prigione in cui sia il Governo israeliano che Hamas mi avevano messo. E’ devastante esserci dentro”. Quindi, l’abbraccio, l’incontro e la vicinanza con papa Francesco: “Sono state un’esperienza che mi ha cambiato la vita. E’ stata, sinceramente, una vera esperienza spirituale incontrare una persona che è un leader mondiale, un leader di pace”.

Aziz Abu Sarah: “Quest’anno abbiamo visto il meglio e il peggio dell’umanità”

“Un anno di distruzione, morte e dolore”. Lo racconta Aziz Abu Sarah. “Un anno che ha dimostrato che l’impegno della comunità internazionale per la de-escalation, la pace o i diritti umani è al minimo da decenni. La normalizzazione delle storie di morte è inaccettabile. Ma, anche, un anno di attivismo per la pace. Soprattutto giovani e nuovi attivisti che si sono impegnati non solo nel dialogo nelle sale conferenze, ma anche a manifestare nelle strade, a raccontare una nuova narrazione. Quest’anno abbiamo visto il meglio e il peggio dell’umanità”.

Aziz ricorda con piacere e interesse l’incontro all’Arena di Verona: “Il Papa ci ha indicato che il progetto del futuro è abbracciarsi l’un l’altro, e che tutto dipende da ciò che decidiamo di fare, se vogliamo sostenere la paura e l’odio o piuttosto la pace”. E poi aggiunge che “l’abbraccio con Francesco ci ha dato legittimità per il nostro lavoro di pacificazione. Le parole del Papa sono diventate la stella polare per il nostro attivismo. Condividiamo quelle parole con israeliani, palestinesi e persone di tutto il mondo. Il Papa ci ha esortato a seminare speranza e pace, invece di distruzione. Le sue parole sul conflitto sono state importanti, perché ci ha ricordato che l’assenza di conflitto significa oppressione, ma noi siamo unici, gli esseri umani possono risolvere i conflitti parlando tra loro invece di uccidersi a vicenda. Queste parole hanno aiutato noi e molti altri nel nostro cammino per la costruzione di un futuro di pace”.

Il palestinese racconta, poi, cos’è, oggi, la vita a Gaza: “E’ miserabile e impossibile da descrivere! Le persone vivono nella paura mentre gli aerei volano sopra le loro teste aspettandosi di morire in un attacco aereo, da un momento all’altro. Non ci sono abbastanza ripari, cibo, vestiti o altro. Ma forse, come mi ha detto un mio amico medico che ha prestato servizio a Gaza, la cosa più terrificante è che molte più persone stanno morendo perché non abbiamo più un sistema sanitario rispetto a quelle di cui i media danno notizia perché uccise in attacchi aerei. Niente antibiotici, niente medicine per malattie croniche come il diabete, non abbastanza anestesia, non abbastanza dottori e infermieri. Decine di migliaia di persone stanno morendo a causa di malattie prevenibili”. Qual è oggi il sogno dei palestinesi? “A Gaza, quando ho chiesto ai miei amici lì, la maggior parte ha detto di non credere che vivranno abbastanza a lungo per avere un sogno. Ma c’è una cosa che posso condividere, che è importante. Una dottoressa mi ha detto che quando è tornata a Gaza ha chiesto alla sua collega, una dottoressa palestinese, cosa poteva fare. Le è stato detto di portare un po’ di zucchero e farina. Quando è arrivata, glieli ha dati e la dottoressa è andata a preparare una torta per la dottoressa in visita. Voleva zucchero e farina per preparare un regalo per la dottoressa in visita! Queste sono le storie che mancano”.

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