domenica, 01 dicembre 2024
Meteo - Tutiempo.net

Guerra di Gaza, si entra nella fase due

Il conflitto vive una nuova fase, sia per l’inasprirsi degli attacchi, che per gli schieramenti geopolitici che vanno formandosi dopo l’intervento congiunto terra-mare-cielo di Israele

Dopo quasi un mese dall’attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre, Israele ha ulteriormente rafforzato il suo assedio soffocante su Gaza, tagliando le forniture di carburante, acqua e cibo. Mancano i collegamenti internet e telefonici. Sembra confermarsi come strategia militare quella di far mancare le prove video di quanto sta avvenendo in territorio palestinese, rispetto a possibili contestazioni di crimini commessi.

Quello che appare indubbio è che, dove prima c’erano palazzi, rimangono solo macerie. Il bilancio delle vittime è difficile da quantificare, e così le madri hanno cominciato a tatuare il nome sulle braccia dei figli, per poterli riconoscere, poi, in caso di bombardamenti. Intanto, sono presi d’assalto i pochi aiuti umanitari che arrivano alla popolazione dal valico egiziano di Rafah. La situazione umanitaria a Gaza è drammatica come hanno dichiarato le Nazioni Unite. Per soddisfare i bisogni crescenti, servirebbe che, ogni giorno, almeno 40 camion del Wfp (programma Onu) entrassero a Gaza.

Riposizionamenti politici

La guerra tra Hamas e Israele è entrata in una nuova fase, sia per l’inasprirsi dei bombardamenti e degli attacchi, che per gli schieramenti geopolitici che vanno formandosi, anche a seguito dell’intervento congiunto terra-mare-cielo di Israele sulla Striscia di Gaza, a partire dalla notte del 27 ottobre. Non una semplice incursione, perché alcuni mezzi e forze speciali sono entrate per restare a lungo. Una invasione non annunciata, ma di fatto avviata.

L’attacco di Hamas non ha cambiato solo il corso del conflitto israelo-palestinese, ma anche le dinamiche dell’intero Medio Oriente. Ha lasciato nel caos la strategia statunitense di allentamento della tensione nella regione, ha messo i Governi arabi e l’Iran in una posizione difficile e ha aperto la porta a un maggiore coinvolgimento cinese e russo.

Cortei a favore dei palestinesi e contro Israele riempiono strade e piazze di molti Paesi arabi.

Coinvolgimento americano

Gli attacchi hanno anche costretto gli Stati Uniti a invertire la loro politica di riduzione della presenza militare nella regione, ordinando il più grande rafforzamento militare dai tempi della guerra contro l’Isis.

La dura risposta di Netanyahu all’attacco di Hamas ha posto bruscamente fine al processo di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, ostacolando la conclusione di un accordo per la sicurezza regionale.

Gli sviluppi della scorsa settimana dimostrano che questo accordo non ha resistito. Da un lato, gruppi armati filo-iraniani in Siria e Iraq hanno lanciato attacchi contro basi militari statunitensi. Dall’altra, missili americani hanno colpito in Siria postazioni di militanti sostenuti dall’Iran e l’attacco del 27 ottobre è stato reso possibile con il supporto di decine di aerei presenti nella portaerei americana, schierata nel Mediterraneo orientale.

Calcolo russo e cinese

Il coinvolgimento degli Stati Uniti in un altro conflitto in Medio Oriente e l’indebolimento delle sue alleanze con gli Stati arabi porterebbero a uno sviluppo positivo per Mosca e Pechino. Entrambi i Paesi hanno beneficiato degli interventi armai di Washington nella regione negli ultimi due decenni. La “guerra al terrorismo”, l’intervento armato in Afghanistan, Iraq e Siria, hanno danneggiato la posizione degli Stati Uniti nella regione, incoraggiando una percezione positiva della Russia e della Cina tra le Nazioni musulmane.

Un rafforzamento militare statunitense in Medio Oriente, maggiori aiuti all’esercito israeliano e un corpo diplomatico statunitense focalizzato sul sostegno a Israele potrebbero portare a minori risorse militari, finanziarie e diplomatiche disponibili per aiutare lo sforzo bellico in Ucraina, a un ridotto interesse per altre situazioni di crisi (Libia, Sudan e Niger in primis) e un minor sostegno degli alleati in Asia.

Il gioco turco delle due carte

Hamas, per il presidente turco Erdogan, non è un’organizzazione terroristica e Israele è un occupante del territorio palestinese. Dentro alla Nato e accreditata a livello internazionale come mediatore nel conflitto russo-ucraino, la Turchia è legata a doppio filo con Hamas, per la comune appartenenza all’islamismo politico sunnita e al movimento dei Fratelli musulmani.

Negli ultimi anni, la politica estera sempre più attiva della Turchia si è fatta sentire in tutti i Paesi vicini. In effetti, oggi la politica estera turca spazia dai Balcani occidentali e dal Caucaso al Golfo e fino al Corno d’Africa, facendo parlare di ambizioni “neo-ottomane” di egemonia regionale.

Punti di vista diversi sulla carneficina

Se per gli israeliani il numero dei morti è stato quello maggiore dopo gli eventi tragici del nazismo, per i palestinesi ciò che accade fa tornare in mente la carneficina di Sabra e Shatila

Se per gli israeliani il bilancio dei morti è stato quello numericamente maggiore dopo gli eventi tragici del nazismo, per i palestinesi ciò che accade fa tornare in mente la carneficina del settembre 1982 a Sabra e Shatila, due quartieri della capitale libanese Beirut che ospitavano (e ospitano tuttora) un campo profughi palestinese. Un massacro dichiarato nel dicembre 1982 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite come un “atto di genocidio”. Massacro che sta alla base anche della presenza dei militari italiani in territorio libanese.

SEGUICI
EDITORIALI
archivio notizie
07/11/2024

Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...

25/10/2024

La morte ha la forza di farci riconsiderare le priorità della vita e, forse, di dare loro un po’ di ordine....

TREVISO
il territorio