Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
A rischio siccità la Mezzaluna fertile, culla dei Sumeri
Le paludi mesopotamiche nel sud dell’Iraq, un tempo il più grande sistema di zone umide del pianeta, sono state abitate per migliaia di anni dai Ma’dan, o arabi delle paludi, ma rimangono remote, isolati e praticamente sconosciute. All’inizio degli anni ’90, il regime di Saddam Hussein prosciugò le paludi e si proponeva di distruggere non solo un ecosistema critico, ma anche uno stile di vita unico. Si tratta di uno dei più grandi disastri ambientali e umanitari del ventesimo secolo. Migliaia di persone furono uccise e altrettante costrette alla fuga. Dopo la caduta del regime, in seguito all’invasione americana dell’Iraq, nel 2003, i pochi residenti locali distrussero le dighe di terra costruite per deviare l’acqua dalle zone umide e le paludi furono allagate. Molti abitanti ritornarono a viverci. Dopo decenni di guerre - inclusa l’ultima battaglia contro Daesh/Isis - l’Iraq rischia, ora, di perdere l’acqua del Tigri e dell’Eufrate che irrora le paludi mesopotamiche. Il cambiamento climatico, l’assenza di politiche idriche interne e l’impatto delle grandi dighe in costruzione in Turchia e Iran rappresentano, oggi, alcune delle minacce più incombenti per quest’area, culla della civiltà dei Sumeri.
Tra Nassiriya e Bassora, luoghi a noi noti per la presenza militare durante la seconda guerra del Golfo, ma anche per essere stati il centro dell’antica civiltà dei Sumeri, vi è la palude di acque dolci in prossimità della città di Al-Chibayish - tra le aree inserite nel 2016 tra i siti iracheni patrimonio mondiale dell’Unesco - dove l’Eufrate a poco a poco si avvicinava al fiume Tigri, formando quella che un tempo era l’ampia regione fertile, conosciuta dagli antichi con il nome di Guedenna. A Al-Chibayish, località a 400 chilometri a sud di Baghdad, nel cuore della mezzaluna fertile, vive e opera Jassim Al-Asadi, 66 anni, ingegnere, fondatore dell’ong locale Nature Iraq e da sempre sostenitore dell’importanza della biodiversità di quest’area.
Abbiamo intervistato Al-Asadi, conosciuto oltre i confini del suo Paese come attivista ambientale e per aver subito anche dei periodi di detenzione per il suo impegno.
L’Iraq è conosciuto come il Paese dei fiumi. La costruzione di megaprogetti dirompenti, come la diga di Ilisu in Turchia e la diga di Daryan in Iran, rischiano di avere un impatto distruttivo sui flussi d’acqua in Iraq?
Le dighe turche e iraniane rappresentano un grave problema per l’Iraq, in quanto controllano il flusso naturale dell’acqua e riducono la quantità di acqua disponibile per l’intero Iraq, da cui dipendono interamente l’agricoltura e l’ecosistema naturale delle paludi. Anno dopo anno, il suolo si desertifica, ampie aree umide si prosciugano e la popolazione locale perde gran parte dell’economia legata alla presenza dell’acqua: pesca, allevamento di bufali, raccolta di canne palustri e dai pascoli verdi. Nonostante l’inclusione delle paludi nell’elenco dei siti ambientali Patrimoni dell’Umanità e delle zone umide di importanza internazionale, il comportamento di Turchia e Iran sulla questione dell’acqua è ancora basato su decisioni unilaterali. Anche se ci sono state recenti discussioni tra Iraq e Turchia in materia di acqua, i punti dell’accordo non specificano la quantità di acqua che la Turchia fornirà all’Iraq nel prossimo decennio.
Se non ci fossero state le paludi e i fiumi, non avremmo avuto i Sumeri e la civiltà che conosciamo. Basta questo per sperare in un maggiore sforzo della comunità internazionale?
La civiltà Sumera si stabilì sulle rive dei fiumi Tigri ed Eufrate e ai margini delle paludi che essi formavano inventò sistemi di irrigazione, case di canne, metodi di pesca tradizionali e creò la scrittura nella sua prima forma. Oggi, i discendenti dei Sumeri vivono all’interno e intorno alle paludi e appartengono a una storia molto antica, che fa sperare nella sua conservazione. Il patrimonio, i modi di vita e le culture locali sono possibili grazie all’insistenza su una giusta quota delle acque della Mesopotamia e dei fiumi iraniani che sfociano nello Shatt al-Arab o nella parte orientale dell’Iraq.
In qualche modo possiamo dire che l’acqua viene utilizzata come uno strumento politico tra i Paesi della regione?
Purtroppo, l’acqua viene attualmente utilizzata dai Paesi vicini e posti a monte del bacino idrografico, come la Turchia e l’Iran. La gestione dell’acqua è uno strumento geopolitico per esercitare pressioni sull’Iraq su questioni come l’energia, i vantaggi economici, la questione curda, l’agricoltura, ecc. La Turchia e l’Iran non si sono curati degli accordi storici o delle convenzioni internazionali, in particolare di quanto stabilito nella Convenzione di Ramsar del 1971, in merito alla costruzione di dighe e alla deviazione dei corsi d’acqua, e la Turchia e l’Iran non hanno firmato l’Accordo quadro internazionale del 1997.
Venendo alle popolazioni delle paludi, quale futuro per i Ma’dan, il cui stile di vita ruota attorno alle paludi da 5.000 anni, che vivono in case galleggianti e sopravvivono pescando e allevando bufali?
Gli arabi delle paludi, o Ma’dan, come li chiamano gli orientalisti, sono gli eredi della civiltà sumera. I loro rituali, i loro modi di vivere, i loro stili abitativi, molte delle loro tradizioni e leggende sono legati a quella civiltà, e non possono vivere senza l’acqua e l’economia delle paludi che ne deriva. Come i pesci, muoiono lentamente quando le paludi e i fiumi si prosciugano. Negli ultimi quattro anni si è assistito a una migrazione degli allevatori di bufali e dei pescatori verso i centri urbani, a causa della mancanza di acqua e della siccità che ha danneggiato le loro paludi. Il loro futuro è molto preoccupante.
Quale esempio potremmo prendere dai Sumeri per un nuovo sviluppo sostenibile della Mesopotamia?
Possiamo imparare dai Sumeri molte lezioni e visioni per preservare le paludi del sud dell’Iraq, tra cui l’adesione ai concetti riguardanti l’equa distribuzione dell’acqua, la cooperazione per scongiurare il pericolo del suo cattivo uso, lo sviluppo di nuove idee per il suo razionale uso, l’amore per l’ambiente e l’esistenza di un governo equo, le cui priorità siano chiare, per mettere l’acqua al centro di tali attenzioni.