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I defunti della pandemia

Il rispetto e l’amore per i morti devono farci apprezzare e difendere di più la vita che abbiamo in dono. Certamente quella personale e dei familiari, ma anche quella degli altri; di sentirci cioè fratelli di tutti, responsabili e custodi di coloro che incontriamo e che, in qualche modo, il Signore ci ha affidato e dei quali ci chiederà conto. Nessuno può sottrarsi a questo dovere, né rispondere a Dio e alla società, come fece Caino: “Sono forse io custode di mio fratello”?

29/10/2020

Nella Commemorazione dei defunti del 2 novembre, più di qualche famiglia avrà da ricordare e piangere un familiare o un conoscente che è rimasto vittima del Covid 19. I morti della prima ondata sono stati oltre 30.000 e ora, in questa assai virulenta seconda fase del contagio, ogni giorno si aggiungono, in un crescendo preoccupante, altri decessi.

Nella tragedia abbiamo anche assistito alle sconvolgenti immagini di salme accatastate in chiese o hangar e di camion militari che di notte trasportavano i corpi in cimiteri e inceneritori lontani perché in certe città non si riusciva più a far fronte alle tumulazioni, tante erano le vittime. Non vorremmo più rivedere tali scene, anche se l’incalzante diffusione del virus non lascia certo ben sperare. Di nuovo e, forse, più di prima, ci sentiamo tutti impauriti e quasi impotenti di fronte a un avversario così aggressivo e subdolo che mette a repentaglio la salute della gente e le attività produttive del Paese. Non riusciamo, però, a capire come possano ancora esserci persone “negazioniste”, che si ostinano a dire che il virus non esiste e che è tutta una montatura, una messa in scena dei governanti per soggiogarci e privarci della libertà. A volte mi fanno venire in mente la descrizione che il Manzoni fa, nei “Promessi sposi”, della stoica morte del “negazionista” don Ferrante, “uomo dotto e letterato” particolarmente versato nell’Astrologia e nella Filosofia, il quale negava risolutamente che il contagio potesse diffondersi da persona a persona. Purtroppo, anch’egli contrasse la peste per non aver preso alcuna precauzione, in quanto riteneva che il morbo che stava decimando Milano fosse dovuto unicamente alla congiunzione astrale di Giove con Saturno.

Morì miseramente portandosi dietro tutte le sue bislacche teorie, mentre la peste continuava, quasi irridente, a mietere migliaia di vittime.

 

Aggiunto dolore a dolore

Purtroppo, per i familiari dei morti, non solo a causa del Covid, al dolore si è aggiunto anche il dramma di non aver potuto assistere i loro cari negli ospedali o nelle case di riposo, e di non aver fatto loro un “vero” funerale religioso ma, solamente, qualche preghiera in cimitero da parte del sacerdote, una breve esortazione, la benedizione, il tutto alla presenza di pochissime persone. Alla morte vissuta in estrema solitudine, senza alcun conforto familiare e religioso, è succeduto il triste epilogo di funerali e tumulazioni avvenuti ancora in solitudine e quasi furtivamente. La pandemia ha costretto a “privatizzare” la morte e a tenerla quasi nascosta, bandita dalla vista e dalla mente.

Bisogna dire che molti hanno attestato che, in queste sconvolgenti circostanze, i parroci, da saggi e buoni pastori, sono riusciti a creare quel clima di preghiera e di solidarietà fraterna che ha consentito ai parenti del defunto di vivere intensamente e nel silenzio tale momento di estremo saluto, apprezzando, a volte, questa modalità a certi funerali chiassosi e debordanti di tante parole.

 

Un buono e urgente proposito

Penso che domenica e lunedì prossimi (meglio se evitiamo in questi giorni assembramenti nei cimiteri), davanti alle tombe dei nostri cari dovremmo tutti, oltre che portare un fiore e recitare una preghiera, fare il buono e urgente proposito di impegnarci rigorosamente nel rispettare le norme per contenere il contagio (mascherina, distanza, igienizzazione) e ancor più di imporci autolimitazioni, riducendo all’essenziale i contatti e anche le visite a parenti e amici.

Il rispetto e l’amore per i morti devono farci apprezzare e difendere di più la vita che abbiamo in dono. Certamente quella personale e dei familiari, ma anche quella degli altri; di sentirci cioè fratelli di tutti, responsabili e custodi di coloro che incontriamo e che, in qualche modo, il Signore ci ha affidato e dei quali ci chiederà conto. Nessuno può sottrarsi a questo dovere, né rispondere a Dio e alla società, come fece Caino: “Sono forse io custode di mio fratello”?

Diventare per negligenza o leggerezza strumenti di contagio, di sofferenza e di morte per gli altri significa attentare alla loro salute e, quindi, venir meno al rispetto del quinto comandamento. Almeno per noi cristiani, questa è una cosa molto seria. Per tutti i cittadini, credenti e non credenti è, però, altrettanto serio e doveroso rispettare le norme sanitarie perché, al di sopra di tutto, deve sempre stare la salvaguardia del bene comune. Anche se non tutti sono favorevoli a questo Governo e non condividono per tanti motivi le scelte e le imposizioni che vengono date (anche quelle per il 1° e il 2 novembre), tuttavia, in quanto cittadini, dobbiamo avere il senso delle istituzioni e collaborare facendo la nostra parte, evitando di dissociarci e di scivolare in forme violente di protesta o di vera e propria guerriglia urbana come, purtroppo, sta avvenendo in questi giorni, perché il nemico da contenere e combattere non sono le civiche istituzioni, ma il virus.

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