Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Editoriale: venire ucciso tra l'indifferenza
L'omicidio di Alika, 39 anni, venditore ambulante a Civitanova Marche
Venerdì 29 luglio, a Civitanova Marche, un piccolo venditore ambulante nigeriano, che a volte chiedeva anche l’elemosina, Alika, di 39 anni, è stato barbaramente ucciso, in pieno centro cittadino, da un operaio di 32 anni, Filippo Ferlazzo di Salerno. Alika, secondo coloro che lo conoscevano, era un uomo povero, mite e tranquillo, sposato e con un figlio ancora piccolo, che si spostava appoggiandosi a una stampella a causa di un incidente che gli aveva lasciato delle lesioni a una gamba.
Non è dato ancora a sapere che cosa abbia fatto scattare nell’aggressore un tale raptus omicida, forse una parola in più rivolta dal malcapitato verso la sua fidanzata, forse la reazione nei confronti di uno che chiedeva con un po’ di insistenza l’elemosina. Sta di fatto che, secondo la fidanzata, il Ferlazzo avrebbe inseguito il nigeriano, picchiato con la sua stessa stampella e poi finito a mani nude. Un pestaggio durato appena qualche minuto, perpetrato da un uomo che, accecato dalla rabbia, si è fatto forte con un debole e, in più, alla presenza di una platea di osservatori paralizzati e inerti per quanto stava accadendo.
Non si sarebbe trattato, però, di un “colpo di testa” dovuto al caldo.
L’omicida, infatti, un anno fa aveva subito un trattamento sanitario obbligatorio (Tso) come tossicodipendente aggressivo con seri disturbi di personalità e, per questo, affidato alla tutela e alla vigilanza della madre, in qualità di “amministratrice di sostegno”. Purtroppo non si spiega come mai al momento del crimine egli si trovasse a 400 km dalla madre. Dopo l’arresto l’omicida, sbollita la rabbia, si è limitato a dire che nel suo gesto non c’era connotazione razziale e a chiedere scusa alla famiglia.
Tra indifferenza e paura
Giornali e televisioni hanno insistito molto sul fatto che nessuno dei presenti al pestaggio sia intervenuto per fermare l’aggressore. Qualcuno avrebbe gridato: “Basta, fermati subito”, “Lo stai uccidendo”, “Sta arrivando la polizia”; qualche altro, invece di intervenire, si è limitato a filmare l’orrore con il cellulare, per poi postarlo sui social; un altro è rimasto seduto sulla panchina, col cane che continuava ad abbaiare, ma nessuno ha provato ad allontanare l’aggressore dalla vittima. Un tragico evento contornato da tanta indifferenza, stigmatizzato, doverosamente, dal sindaco della città, Fabrizio Ciarapica. Don Luigi Ciotti, dopo aver condannato con fermezza quanto accaduto, ha aggiunto che l’egoismo ammazza l’umanità e che stiamo diventando “una società senza empatia, incapace di ascoltare il grido di chi si sente in pericolo di vita o sente la sua vita andare alla deriva. L’indifferenza verso Alika - ha continuato Ciotti - è gemella dell’omissione di soccorso che ha ucciso migliaia di immigrati africani in questi anni nel Mar Mediterraneo”.
Probabilmente in quelle circostanze così drammatiche e una furia così violenta, anche molti di noi avrebbero evitato di intervenire direttamente per paura di trovarsi magari con un coltello piantato nel petto. Intervenire nelle risse è sempre pericoloso perché non si conoscono le forze, le armi e gli squilibri mentali dei contendenti. Oggi, purtroppo, di fronte a certi fatti criminosi, si è sempre in bilico e in tensione tra indifferenza e paura ma, soprattutto, impera il terrore di immischiarsi.
Il declino dell’“umano”
Nel caso in questione, forse, un po’ più di coraggio i presenti potevano anche darselo e unire le forze per bloccare l’aggressore. A ogni modo, dobbiamo dire che, da tempo, a fronte di tanta solidarietà e sensibilità che nel nostro Paese ancora c’è verso i poveri e gli emarginati sta, però, ampliandosi sempre più l’area dell’indifferenza verso il prossimo, soprattutto nei confronti di coloro che non fanno parte del giro dei propri interessi e affetti o sono i più deboli della società. Tolti i propri cari, nessuno rischia più nulla per nessuno.
Ci stiamo un po’ raffreddando verso tutto ciò che costituisce l’“umano”, smarrendo la consapevolezza che l’essere umano, ogni essere umano, viene prima di tutto e che è dovere di ogni istituzione sociale e religiosa (scuola, famiglia, parrocchia, società sportive e culturali) educare e formare i più giovani a vivere e promuovere legami sani, positivi e solidali con tutti.
Il senso cristiano della vita
Il motivo, certamente, è di tipo culturale: aumento delle disparità economiche e sociali, con conseguente aumento dell’aggressività tra Paesi e i soggetti; politiche migratorie più o meno esplicite di tipo razzista o xenofobo; progressivo imporsi dell’individualismo, ecc. Ma anche di tipo spirituale e religioso. Riteniamo, infatti, che una delle cause, forse la principale, di tanta indifferenza e freddezza verso gli altri, stia nella persistente perdita del vero senso cristiano della vita, della fraternità e solidarietà tra gli uomini.