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Editoriale: Indietro tutta: si ritorna alla Prima Repubblica

La scissione è conseguenza della “fusione fredda” con cui è nato nel 2007, erede del progetto politico de L'Ulivo ideato da Romano Prodi, il Partito democratico, nel quale sono confluiti i Ds, la Margherita e altri raggruppamenti di centro-sinistra. La fusione però non è mai diventata “calda”, perché le principali anime del Pd non si sono mai amalgamate.

02/03/2017

Con la costituzione dei nuovi gruppi parlamentari si è sancita la scissione nel Partito democratico da parte di un gruppo di ex Ds, capeggiati da Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, che hanno fondato il movimento dei Democratici e dei progressisti (Dp), ennesima sigla nel frantumato universo della sinistra. In tutto 37 parlamentari alla Camera e 14 al Senato. Un nutrito numero che, nonostante i proclami di non volere elezioni anticipate, possono mandare in crisi il governo e che, al primo intoppo, offriranno a Renzi  il pretesto per chiedere a Mattarella di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni.

La scissione è conseguenza della “fusione fredda” con cui è nato nel 2007, erede del progetto politico de L'Ulivo ideato da Romano Prodi, il Partito democratico, nel quale sono confluiti i Ds, la Margherita e altri raggruppamenti di centro-sinistra. La fusione però non è mai diventata “calda”, perché le principali anime del Pd non si sono mai amalgamate. Ognuna è rimasta attaccata alla sua tradizione culturale e politica; in particolare gli ex Ds, soprattutto i più vecchi che provenivano dall’esperienza del Partito comunista, i quali non hanno mai digerito di essere stati scippati da Matteo Renzi del partito e non sono mai riusciti, forse per l’età, a guardare avanti e ripensarsi e rinnovarsi nel loro vecchio impianto ideologico.

Bisogna dire che il Pd è rimasto formalmente unito perché, stante il sistema elettorale, il “Porcellum”- che prevedeva per la Camera un sostanzioso premio di maggioranza al partito che avesse preso più voti - era l’unica possibilità che aveva per vincere le elezioni e governare.
Una rottura annunciata
Affossato il referendum di riforma costituzionale e con le sentenze della Consulta del 2014 e del 2017 che modificavano le leggi elettorali di Senato e Camera, molti ex Ds hanno deciso di formare un nuovo soggetto politico, convinti che mai più avrebbero ripreso in mano il Pd e sicuri che comunque avrebbero portato in Parlamento un certo numero di rappresentanti, senza dover passare sotto le forche caudine della Segreteria del partito.
Quello che è accaduto nel Pd era ormai inevitabile: una rottura annunciata. Non era possibile continuare con parlamentari che spesso votavano contro le scelte fatte dal partito o, come è avvenuto per il referendum, hanno contribuito ad affossare una riforma costituzionale voluta dal loro Governo e già approvata in doppia lettura Parlamentare.
Ora le cose si complicano
A questo punto sarà difficile trovare un accordo tra i partiti per rimettere mano ai due sistemi elettorali, al fine di renderli più omogenei: quello per la Camera, che è un proporzionale con premio di maggioranza alla lista che supera il 40% dei consensi; e quello per il Senato, il “Consultellum”, che è un proporzionale puro con vari sbarramenti, frutto della modifica al “Porcellum” apportata nel 2014 dalla Consulta. Questo farà si che i partiti che riescono da soli a superare lo sbarramento del 3% alla Camera e dell’8% al Senato (3% per i partiti coalizzati), saranno sicuri di avere un certo numero di parlamentari. Ci sarà, quindi, un’ulteriore frantumazione con la conseguenza che nessuno avrà i numeri per governare da solo. Salta così la Seconda Repubblica, con il suo bipolarismo, e si ritorna impietosamente alla Prima, forse in versione peggiorata e carica di incognite.
Governabilità a rischio
Infatti, se si va alle urne, sia oggi che fra un anno, con l’attuale sistema elettorale corretto dalla Consulta, nessun partito, né quello che resta del Pd, né il M5S, potrà ragionevolmente superare alla Camera la fatidica soglia del 40%. In ogni caso, si avrà comunque una situazione di stallo in quanto nei due rami del Parlamento ci potranno essere tre forti raggruppamenti politici (Pd, M5S, Forza Italia – Lega?) che da soli non avranno i numeri per formare un Governo. Anche se il movimento di Grillo, come è verosimile, vincerà le elezioni e, come vuole la prassi, riceverà da Mattarella l’incarico di formare il Governo, non avendo i numeri dovrà per forza allearsi con qualcun’altro. Con chi?
E se Salvini e Grillo...
Ritengo che, pur tappandosi il naso e con tanti distinguo e compromessi, Grillo e Salvini saranno disposti ad allearsi pur di buttar fuori la Casta dalla stanza dei bottoni e dare una sterzata populista ed antieuropeista al Paese. Fantapolitica? Forse non c’è da stare troppo tranquilli, visto come stanno andando le cose in Europa e negli Stati Uniti.

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