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Editoriale: Cristiani ma non troppo

Un numero crescente di persone si rifugia in un cattolicesimo "culturale" preoccupato, cioè, più che di vivere la fede, di difendere i valori e i segni della tradizione ricevuti dalla famiglia

27/05/2021

Nel 1996 il sociologo della religione Franco Garelli, nel libro “Forza della religione, debolezza della fede” affermava che, a fronte di una sostanziale tenuta in Italia del riferimento religioso - caso unico in Occidente -, dovuto, forse, alla forte e capillare presenza nel territorio della chiesa e del suo associazionismo, si riscontrava, tuttavia, una vita di fede, delle motivazioni e una appartenenza ecclesiale molto “deboli” e, quindi, facilmente influenzabili dal contesto culturale secolarizzato. Anche di recente, il teologo Carmelo Dotolo, in un saggio del 2020, fa il punto sulla religione nell’età post-secolare o post-moderna, evidenziando il diffuso desiderio di spiritualità svincolata, però, da dogmi e trascendenza, ossia, da elementi caratteristici della religione cristiana. Questo per dire quanto sia complessa e mutevole la situazione della religione cattolica in Italia.

E’ ancora Garelli, nell’ultima sua ricerca pubblicata quest’anno, “Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio”, a rappresentare l’Italia come un Paese nel quale crescono (così come in altre fedi e culture, quali l’Islam e le religioni orientali), l’ateismo e l’agnosticismo mentre, al tempo stesso, emergono nuove domande e percorsi spirituali.

Il cattolicesimo, però, risulta essere sempre più esile e il Dio cristiano sembra che nella gente sia più sperato che creduto e che la pratica religiosa stia manifestando una certa stanchezza. Saremmo, dunque, un Paese incerto su Dio e molto oscillante nelle valutazioni etiche e morali. 

Forse per questo un numero crescente di persone si rifugia in un cattolicesimo così detto «culturale» preoccupato, cioè, più che di vivere la fede, di difendere i valori e i segni della tradizione ricevuti dalla famiglia; un cattolicesimo inteso più come intenzione che come vissuto ed esperienza di vita. Nel contempo aumentano coloro, soprattutto tra i giovani, che si dichiarano estranei a ogni appartenenza confessionale (circa 18%). In sostanza, per il nostro studioso, il cattolicesimo italiano starebbe vivendo la sua “stagione autunnale”, anche se il sentimento religioso rimane ancora vivace, per cui sarebbe sbagliato pensare che l’Italia stia uscendo dalla sua cultura cattolica, come invece sta avvenendo da tempo negli altri Paesi europei di tradizione cattolica e protestante nei quali, ormai, circa metà della popolazione si dichiara atea o incredula.

Una religione plurale o universale

La perdita di centralità della Chiesa cattolica nella vita di tutti i giorni, convive, tuttavia, con una nuova religiosità “al plurale” o “universale”, ossia con una fede impersonata da credenti sempre più deboli o “soli” dinanzi alle questioni fondamentali dell’esistenza. Essi, infatti, già da tempo, sono costretti a confrontarsi con spiritualità e religioni diverse dal cristianesimo, giunte a noi attraverso i media e le migrazioni, e vi rimangono come smarriti. In sostanza, sta crescendo la convinzione che per accontentare tutti, ci starebbe bene una religione “super partes”, universale ed ecumenica, che raccolga ciò che di buono c’è in tutte le altre.

Mi sembra che la tendenza (o la moda) in atto sia quella di rifugiarsi in un certo sincretismo religioso, una sorta di “polpettone” o di “frullato”, dove si fanno entrare talmente tanti e svariati ingredienti da non saper più definire in che cosa consista il prodotto finale e se la miscela ottenuta, o nuova religione, faccia bene o male alla salute spirituale e alla nostra salvezza.

E’ evidente che questa tendenza non incontra affatto il favore dei cattolici convinti e praticanti e, in particolare, di quei cattolici “culturali” che vedono in questo processo un rinnegamento della identità cristiana e dei suoi simboli tradizionali.

La Chiesa in Italia

A tali tendenze dobbiamo anche aggiungere che “in casa nostra” da diversi anni il cattolicesimo si sta caratterizzando per la compresenza e per la non facile convivenza di modelli di fede e visioni di Chiesa assai diversi, che spesso assumono forme radicali ed entrano in tensione tra loro, fino anche a sconfessarsi l’un l’altro, pur di accreditarsi come veri e unici depositari della fede cristiana. La lunga pandemia ha, forse, evidenziato e accentuato maggiormente questa situazione.

La nostra Chiesa “di popolo” si trova così a vivere al suo interno tensioni che arrivano a condizionare la comunione ecclesiale, accentuate dal fatto che a esse sottostanno spesso appartenenze ideologiche e politiche antitetiche che in vario modo e per motivi diversi, si ergono o a difensori delle tradizioni e dei valori cristiani o, in nome della modernità e della laicità, a mentori della loro irrilevanza e insignificanza.

Un cammino sinodale

Papa Francesco, all’assemblea generale della Cei tenutasi questa settimana, ha chiesto che, in vista del Sinodo mondiale dei vescovi del 2022 “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, tutta la Chiesa Italiana si ponga in cammino sinodale al fine di promuovere a ogni livello, “dal basso all’alto”, un processo di effettiva piena partecipazione e condivisione della vita ecclesiale che coinvolga tutti i cristiani in modo che “esca tutta la saggezza del popolo di Dio”. Un processo, ha detto il presidente della Cei card. Bassetti, “che parte dal basso per coinvolgere il Santo Popolo di Dio nei nostri territori e nelle nostre Chiese”.

Potrebbe, forse, essere questo un cammino che ci aiuta anche a maturare in quella comunione tra “diversi” in modo che, nelle nostre comunità cristiane e nelle chiese locali, doni, carismi, sensibilità, aggregazioni e, persino, visioni culturali e politiche diverse, si ritrovino e si impegnino a camminare insieme in una sostanziale unità e una vera comunione, in vista di quel “rinnovato annuncio del Vangelo in un tempo di rinascita” che ci viene chiesto dai nostri vescovi.

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