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Editoriale: Armati fino ai denti

Ennesima strage negli Stati Uniti. Rimaniamo convinti che le armi non risolvano i problemi del nostro pianeta, né tanto meno possono produrre uno stabile ordine ed equilibrio mondiale. Non resta altro che la via del dialogo, della solidarietà con i popoli poveri e della rinuncia ad appropriarsi a ogni costo delle risorse naturali dei Paesi più deboli

03/06/2022

Negli Stati Uniti si è consumata l’ennesima strage: il diciottenne Salvador Ramos è entrato in una scuola elementare a Uvalda, in Texas, e ha ucciso 19 bambini e due insegnanti. Il giovane era un appassionato di armi, tanto che per il suo diciottesimo compleanno si era “regalato” due fucili d’assalto semiautomatici del tipo AR-15, quelli più usati in America per le stragi (ce ne sono in giro 20 milioni!). E’ risaputo che negli Usa di stragi perpetrate da qualche folle ce ne sono state tante altre, quasi una ogni anno, spesso con almeno una ventina di morti, alcune anche con una cinquantina. E’ proprio il caso di dire che gli americani sono un popolo armato fino ai denti; una nazione di “cowboy” che viaggiano sempre con la pistola nella fondina, al punto che su una popolazione di circa 320 milioni, si stima che ci siano in giro quasi 360 milioni di armi da fuoco. E sembra che, purtroppo, non si possa e non si riesca a fare molto per porre limiti a questo riarmo generalizzato giacché, il secondo emendamento della Costituzione americana (adottato nel 1791 quando si sparava con i moschetti), contempla il diritto di ogni cittadino di detenere e portare qualunque tipo di arma da fuoco.

Reazioni troppo diverse
Evidentemente, lo sdegno e le dichiarazioni di solidarietà non sono mancate. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è detto “disgustato e stanco” da queste ripetute sparatorie, e si è chiesto: “Quando, per l’amor di Dio, affronteremo la lobby delle armi?”. Purtroppo, è il solito ritornello che viene ripetuto dopo ogni strage ma che, alla fine, non porta a niente, tanto è radicata la mentalità “difensiva” della gente e tanto sono potenti le lobby delle armi nel condizionare ogni tentativo da parte dei legislatori di porre un qualche limite al loro libero e indiscriminato commercio.

Di contro, Donald Trump, intervenendo a Houston alla convention della Nra (National rifle association), la principale lobby che difende il libero uso delle armi, dopo aver definito i partecipanti al raduno dei “grandi patrioti”, ha subito aggiunto che è necessario estirpare il male, indicando come soluzione per frenare le stragi quella di armare gli insegnanti e mettere in sicurezza le scuole, facendole presidiare dalla polizia. A sua volta il capo della Nra, quasi a volersi scagionare da ogni responsabilità, ha affermato che anche nel caso di Uvalda, l’omicida era “un mostro criminale isolato e disturbato”, e che il limitare il diritto fondamentale degli americani a difendersi, come vorrebbe fare Biden, non è la risposta al male. Insomma, si sta dicendo di tutto e di più.

Una cultura e una mentalità
E’ vero che negli ultimi anni sono diminuiti gli americani che si procurano armi. Secondo uno dei tanti sondaggi, ormai, quasi la metà degli statunitensi dice di volere leggi più severe e restrittive. Tuttavia permane una diffusa mentalità, frutto di una secolare cultura, secondo la quale è un diritto difendersi e reagire uccidendo. Anzi, paradossalmente, molti cittadini sono convinti che aumentare il numero di armi sia il modo migliore per diminuire la violenza e che avere più armi comporti più sicurezza per tutti. Sta di fatto che gli Usa detengono il triste primato di omicidi e stragi con armi da fuoco rispetto qualunque altro Paese occidentale. Le pressioni e la propaganda esercitate dalle potenti lobby delle armi hanno certamente una loro efficacia. Al fondo di tutto, però, ci sta negli americani questa cultura e mentalità preventiva e difensiva, a volte persino “aggressiva”, che solamente una appropriata legislazione e una adeguata formazione delle nuove generazioni potrebbero cominciare a intaccare.

Quale “ordine” mondiale?
A questo facile uso “personale” delle armi corrisponde anche un modo di porsi degli Stati Uniti a livello internazionale. Essi, infatti, si sentono in qualche modo investiti della missione di “salvare” il mondo a costo di intervenire, anche militarmente, per stabilire un certo ordine e difendere certi valori e interessi “occidentali”.

Sembra che dopo il dissolvimento, nel 1991, dell’Unione Sovietica, a partire dal democratico Bill Clinton si sia accreditata e consolidata, non solo negli Usa ma un po’ ovunque, l’idea che l’America, unica superpotenza rimasta, fosse indispensabile per garantire un certo ordine e equilibrio mondiale. Ma, da qualche anno, anche altre potenze economiche e militari (e nucleari) come la Cina e la Russia, si sono risvegliate e cercano di contrastare l’egemonia americana per imporre un loro “nuovo” ordine e difendere i propri interessi geopolitici, scatenando guerre o destabilizzando e sottomettendo economicamente e militarmente certi Paesi.

Rimaniamo convinti che le armi non risolvano i problemi del nostro pianeta, né tanto meno possono produrre uno stabile ordine ed equilibrio mondiale. Non resta altro che la via del dialogo, della solidarietà con i popoli poveri e della rinuncia ad appropriarsi a ogni costo delle risorse naturali dei Paesi più deboli. Oltre al dovere morale di cominciare a porre un freno alla folle e costosa corsa al riarmo.

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