Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Tribunali intasati per le troppe richieste di diventare italiani
Evocare la promessa divina ad Abramo sulla discendenza più numerosa delle stelle del cielo e della sabbia del mare è certamente fuori luogo. Ma quando si parla di italiani e delle loro successive generazioni che si trovano ai quattro angoli del mondo le proporzioni sono sicuramente molto ampie. Oltre ai 59 milioni registrati all’anagrafe dei Comuni italiani, ce ne sono potenzialmente altri 80 milioni con diritto di cittadinanza. Sono tutti coloro che hanno un antenato maschio cittadino italiano e, dal 1948, anche un’antenata femmina. Non si tratta di un’acquisizione automatica, perché va richiesta formalmente. Ma le istanze, sempre più numerose negli ultimi anni, stanno avendo varie conseguenze organizzative, giudiziarie e anche politiche.
Del tema si è parlato lo scorso 12 aprile all’Università di Padova in un convegno organizzato dal Dipartimento di Diritto pubblico, internazionale e comunitario. Al centro del dibattito c’era l’acquisto della cittadinanza italiana “iure sanguinis” (per diritto di sangue, ovvero di discendenza diretta) e le relative problematiche, non solo costituzionali, alla luce del singolare caso degli accertamenti giudiziali a favore di cittadini brasiliani. E’ proprio dal grande Paese sudamericano, meta di grandi migrazioni alla metà dell’Ottocento, che stanno arrivando migliaia di richieste di acquisizione della cittadinanza italiana. Ne sanno qualcosa anche le nostre parrocchie, gli uffici di Curia e le anagrafi dei Comuni, che ricevono in continuazione istanze di verifica dei registri e di rilascio dei certificati di nascita, battesimo o residenza degli antenati.
Un’idea di quanto questo fenomeno stia impattando sulle istituzioni italiane l’ha data Carlo Citterio, presidente della Corte d’Appello di Venezia: “Gli accertamenti giudiziali attualmente pendenti per la concessione della cittadinanza sono più numerosi di tutte le cause ordinarie. E questo sta frenando tutta l’attività del Tribunale”. Dentro a ogni fascicolo, infatti, non c’è mai una richiesta singola, ma viene inserito tutto il nucleo familiare. La conseguenza è che, solo per il Veneto, si parla di decine di migliaia di casi. “Gli effetti sono straordinariamente negativi – ha confermato Salvatore Laganà, presidente del Tribunale di Venezia -, perché allo scorso 31 dicembre l’incidenza era del 73%. I procedimenti iscritti al 31 marzo sono 16.663, quelli pendenti 13.239. Rispondere in tempi ragionevoli non è più possibile. Ricevevamo 200 istanze al mese nel 2022, poi 1.000, oggi più di 1.500, mediamente 50 al giorno”.
Solo in Brasile i discendenti dei nostri emigrati sono più di 30 milioni. Le richieste di diventare cittadini italiani non sono legate, nella maggior parte dei casi a un interesse affettivo, economico o culturale di ritornare alla terra degli avi, ma di ottenere il passaporto italiano, che consente, in modo molto più facile di quello di altri Paesi, di circolare in tutto il mondo. E la destinazione principale sono gli Stati Uniti d’America, che richiedono il visto di ingresso ai brasiliani, ma non agli italiani. “Non bisogna, però, dimenticare – ha detto il prof. Paolo Bonetti, docente a Milano-Bicocca – che l'Italia si è risollevata anche grazie alle rimesse degli emigrati”. Le dimensioni del fenomeno di richiesta di cittadinanza sono tali da creare non solo intasamenti burocratici nella pubblica amministrazione italiana, ma anche sbilanciamenti nell’assetto complessivo. “Le nostre regole sono stravaganti – ha aggiunto Fabio Corvaja, costituzionalista all’Università di Padova -, perché basta avere un antenato del Regno d'Italia o della Repubblica. Lo Stato è un ente territoriale, ma se una porzione importante di popolo sta da un'altra parte, allora c’è un problema. Stiamo parlando di oltre 5 milioni di persone che sono formalmente italiane, ma che non fanno parte della Repubblica. Lo Stato ha, ormai, perso il controllo della sua popolazione”.
“Essere cittadini – ha aggiunto l’avvocato distrettuale dello Stato, Stefano Maria Cerillo - è il massimo status giuridico nazionale che comporta diritti e doveri, elettorali, fiscali, di partecipazione alla vita della comunità statale, regionale e comunale. Anche i nostri uffici sono intasati da ricorsi e contenziosi sulla cittadinanza. E’ un problema operativo che non ci consente di difendere gli interessi dello Stato in altre materie”.