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Messa dell’Epifania in cattedrale con le comunità dei fedeli cattolici di lingua straniera

Il Vescovo Tomasi: “Condividiamo ogni giorno la bellezza di questa assemblea. Coltiviamo la speranza, facciamo entrare in dialogo i nostri mondi diversi ma vicini, che troppo spesso manteniamo separati e muti”

“Quanto è bella una comunità cristiana così varia e colorata, così vitale e fraterna”: è quanto ha detto il vescovo di Treviso, mons. Michele Tomasi, nella celebrazione che ha visto riunite, sabato 6 gennaio in cattedrale, molte persone di numerose lingue e provenienze geografiche, per la solennità dell’Epifania, la festa della manifestazione del Signore Gesù a tutte le genti. Presenti numerose autorità civili e militari, tra cui il sindaco di Treviso, Mario Conte, il presidente del Consiglio comunale, Antonio Dotto, e diversi assessori e consiglieri comunali.

Da molti anni la messa del 6 gennaio a Treviso è curata dall’ufficio diocesano di Pastorale delle Migrazioni e animata dalle diverse comunità cattoliche di lingua straniera presenti in diocesi. E proprio il direttore dell’ufficio, don Bruno Baratto, all’inizio della celebrazione, ha ricordato le situazioni di guerra dei Paesi di origine delle persone presenti, e i tanti altri conflitti nel mondo, che non lasciano le persone libere di scegliere se migrare o restare, come ricorda il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Da don Baratto l’appello alla comunità della Chiesa di Treviso e alle comunità di migranti arrivati anni fa a “custodire, insieme, la dignità di chi arriva oggi da noi. E se le Istituzioni hanno la propria responsabilità da esercitare, anche noi siamo chiamati con forza a fare la nostra parte per far crescere relazioni capaci di valorizzare i doni di ciascuno, qualunque sia la sua cultura e appartenenza religiosa”.

Sulla scorta delle parole del profeta Isaia, il Vescovo, nell’omelia, ha invitato i presenti a guardarsi l’un l’altro: “Proviamo a vedere in questa nostra assemblea i figli che vengono da lontano. Gioia, non terrore e nemmeno tristezza. Doni, non privazione e povertà. Gesti di cura e di tenerezza e non indifferenza e disprezzo. Riusciamo a vedere questo?”, ha chiesto mons. Tomasi, mentre le persone si guardavano le une con le altre.

“Nel Signore noi siamo un corpo solo, chiamati ad un comune futuro di pace e di unità, siamo raggiunti dalla stessa promessa di pienezza di vita contenuta nel Vangelo. Se custodisco la mia relazione con Gesù - ha sottolineato il Vescovo -, questa non potrà mai essere contro qualcuno dei fratelli e delle sorelle. Debbo infatti custodire la mia identità personale e culturale, perché questo è l’unico modo che ho per amare concretamente gli altri. Non posso amare in astratto, in modo neutro, omologato. Se però coltivo la mia identità per separarmi dagli altri e per escludere i fratelli

e le sorelle differenti, mi stacco dalla fonte viva dell’amore, mi chiudo in me stesso, e mi sono perso, nel tempo e per l’eternità”.

L’invito, poi, a seguire la Speranza come una stella, in questo nuovo anno. Speranza, non come facile ottimismo, ma “come fiammella di luce nelle tenebre, anche le più fitte. Speranza come incontro nella gioia, in un mondo così crudo che sembra soffocare ogni sogno”, ha ricordato il Vescovo citando il poeta francese Peguy. Perché è la speranza che “ci permetterà di far entrare in dialogo i nostri mondi diversi ma vicini, che troppo spesso manteniamo separati e muti, o impegnati a gridare parole di sospetto o d’odio.

La speranza ci tirerà fuori di casa per incontrarci, per nutrire insieme la nostra fede, per accendere la fiamma dell’amore reciproco, in gesti quotidiani ed ordinari di solidarietà e di fraternità”.

“La mia speranza - ha concluso il Vescovo, annunciando la sua prossima visita pastorale alle comunità dei fedeli migranti - è che si veda e si condivida la bellezza di questa nostra assemblea per tanti giorni, non solo oggi, e in tutte le manifestazioni della vita, nell’uguaglianza, nella giustizia, nella pace. I Magi provarono una gioia grande, noi non dovremmo sperare niente di meno”.

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