Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Contempliamolo ai piedi della croce - Domenica delle Palme e della Passione del Signore
La professione di fede del centurione nel racconto di Marco

La Domenica delle Palme ci introduce nella Settimana Santa, facendoci passare in pochi minuti dalle gioiose acclamazioni della folla che inneggia al Messia (Vangelo di Mc 11,1-10, proclamato in apertura della processione con benedizione delle palme o dei rami d’ulivo) al dramma di quello stesso uomo che muore sulla croce gridando “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. (Mc 14,1-15,47)
Davvero quest’uomo era Figlio di Dio
La professione di fede del centurione ai piedi della croce, che molti studi sul Vangelo di Marco considerano il vertice dell’intero racconto, suscita molti interrogativi. “Avendolo visto spirare in quel modo”, un militare, un pagano, uno che probabilmente non conosceva nulla della tradizione ebraica, se non quello che avrà potuto osservare dai comportamenti esteriori di quello strano popolo presso il quale era stato inviato in missione, è il primo a riconoscere in quel Nazareno, morto in quel modo, il Figlio di Dio. Come minimo, l’evangelista ha voluto dire con forza che a nessuno è preclusa la possibilità di riconoscere il vero volto di Dio in quel crocifisso. In secondo luogo, ha forse inserito nel suo racconto una potente provocazione nei confronti di coloro che pensano di conoscere già Dio: solo lasciandoci spiazzare dalla contemplazione della sua croce possiamo tornare a riconoscerlo per quello che egli è veramente, liberandoci dalla nostra idea di lui, spesso preconcetta e chiusa alla novità che porta con sé.
Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Il “Servo del Signore”, figura misteriosa che ricorre nel libro del profeta Isaia (Is 50,4-7), è un giusto che soffre ingiustamente per la sua fedeltà nell’ascoltare e, conseguentemente, nell’annunciare la Parola di Dio. Nella sofferenza patita egli non perde l’occasione per lanciare un messaggio di speranza: è sicuro di essere stato eletto da Dio e, perciò, sa di non poter essere abbandonato. La rilettura cristiana ha trovato in questa figura profetica le parole più adatte per descrivere la passione di Gesù: le vicende di ogni giusto che soffre per la sua fedeltà a Dio trovano senso e compimento in quelle vissute da Gesù.
Anche il Salmo 22 è stato molto citato dagli evangelisti, soprattutto per descrivere gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù. “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” sono le parole di apertura di questa accorata preghiera, non riportate nel testo del Salmo responsoriale, ma proposte come ritornello per la risposta di tutta l’assemblea. La condizione nella quale i cristiani sono chiamati a riconoscersi è quella espressa nei primi versetti: “Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; […] Eppure tu sei il Santo […] In te confidarono i nostri padri, confidarono e tu li liberasti” (vv. 3-5). È mai possibile che davvero Dio abbandoni chi confida in lui? La fede ci dice con certezza che non è così, ma ogni volta che ci si trova in una condizione di prova, il dubbio può riaffiorare. Con Gesù, che fa proprie le parole del salmista, siamo “autorizzati” a rivolgerci con fiducia a Dio con le stesse parole.
Ogni lingua proclami: Gesù Cristo è Signore
La seconda lettura (Fil 2,6-11) presenta l’evento pasquale in due movimenti contrapposti: Gesù ha scelto di intraprendere un movimento discendente, un abbassamento che consiste nell’assumere pienamente la vita umana, fino alla morte, e alla morte di croce. Il Vangelo di Marco che abbiamo ascoltato, amplificato dal responsorio del Salmo, lo ha messo bene in luce: sulla croce Gesù ha condiviso la condizione dell’uomo che si sente abbondonato da Dio, la condizione dell’uomo segnato dal peccato: Lui, che non ha peccato, ha vissuto in comunione con il Padre l’esperienza di chi si è colpevolmente allontanato da Dio: da quel momento in poi, neanche il peggiore dei peccatori potrà mai dire che per lui non c’è più alcuna speranza: in Gesù Dio lo ha raggiunto nella sua lontananza, per recuperarlo al suo amore.
Di fronte a questa scelta di solidarietà che il Figlio ha vissuto per la salvezza degli uomini, Dio risponde con un movimento ascendente, innalzandolo in maniera tale che ogni uomo (concetto espresso mediante la doppia sineddoche del ginocchio e della lingua) possa riconoscere in Gesù non solo il Cristo, ossia il Messia inviato da Dio, ma anche Dio stesso: Gesù Cristo è “Signore”, ossia Colui che nell’AT veniva indicato con quel nome che non si può pronunciare: YHWH. Non serve più andare lontano, o salire al cielo per incontrarlo: egli si fa incontrare nell’umanità sofferente e redenta.