Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Avvento: in attesa insieme ad Isaia
Insieme al Battista e a Maria, il profeta è la figura che maggiormente ci accompagna verso il Natale. La riflessione del biblista.

Delle tre grandi sezioni che compongono l’Antico Testamento, la profezia di Isaia va cercata nella terza: è uno dei suoi 18 scritti, secondo la Bibbia di Gerusalemme. Ne è, anzi, il testo più lungo, con 66 capitoli. Rispetto agli altri scritti israelitici, esso è inferiore per proporzioni solamente al libro dei Salmi.
Durante il tempo di Avvento e del Natale, almeno una quindicina di volte Isaia è ascoltato come Parola di Dio nella Liturgia eucaristica: incluse le ben note pagine di Is 9,1-6, a Natale; di Is 60,1-6, all’Epifania; e Is 55,1-11, celebrando il Battesimo di Gesù.
Per un’altra dozzina di volte il libro di Isaia viene aperto ancora nelle sante messe di Quaresima: facendo ascoltare integralmente i celebri quattro carmi del Servo del Signore (Is 42,1-7; 49,1-6; 50,4-9; e infine 52,13-53,12) durante la Settimana Santa.
Non si trascuri un dato informativo “tecnico”: nel Nuovo Testamento, secondo l’edizione critica curata da Nestle-Aland, sarebbero 369 i testi di Isaia citati e richiamati, appunto, nelle sue pagine. La singolarità di questo libro profetico sorprende anche per l’estensione della storia israelitica che rievoca e interpreta. Sono contemporanei del grande Isaia, ma con proprie letture della storia, Michea, Amos, Osea. Abbiamo, dunque, ben quattro letture profetiche sui due regni di Giuda e di Samaria, nella seconda metà del secolo VIII avanti Cristo (circa nel 740-700). Quanto a Isaia, ci si riferisce precisamente a Isaia 1-39.
Vi si possono distinguere:
1) Una serie di oracoli che denuncia l’orgogliosa autonomia del popolo ebraico rispetto al “per primo” del piano divino: cf. Is. “Che m’importa – scrive qui il profeta per conto di Dio – dei vostri sacrifici senza numero? Chi richiede che veniate a calpestare i miei atri? Ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa delle vedove!”.
2) Dopo la lapidaria rievocazione della chiamata divina rivolta a Isaia, dentro al tempio di Gerusalemme (Is 6), segue il celebre “libretto dell’Emmanuele”, i cui oracoli principali ascoltiamo in tempo natalizio: Is 7-12.
3) In Is 13-23 invece sono raccolti oracoli profetici sui popoli non israelitici, in relazione con la vicenda storica del regno di Giuda. I commentatori segnalano in essi il criterio teologico di lettura, che Isaia manifesta: la politica della fede!
4) Oltre alle “pagine apocalittiche” di Is 24-27 e 34-35, sono infine straordinari per l’originalità teologica gli oracoli isaiani, da riferire agli ultimi anni del profeta: Is 28-33 (verso la fine del secolo ottavo).
L’astro della potenza assira poco a poco declina durante il secolo VIII. A Ninive (distrutta nel 612 avanti Cristo) subentra Babilonia; e l’impero, consolidato a oriente del piccolo regno di Giuda, è ora guidato da Nabukodònosor (605-562 avanti Cristo).
Grandi voci profetiche nel nuovo periodo storico sono anche Geremia, Ezechiele; e nuovo, un secondo Isaia, il cui messaggio si connette a quello isaiano, nei capitoli 40-55.
Diversamente, però, da quanto profetizzano Geremia ed Ezechiele, il nuovo Isaia ha per riferimento la situazione drammatica dei giudei già deportati in Babilonia da “consolare” e rianimare nella loro fede in Dio. C’è anche da motivare – almeno un gruppo degli esuli – a ritornare in terra di Giuda. Sono oracoli del profeta in tal senso quelli di Is 40-41; 45-48. Appelli profetici di questo genere ritorneranno più tardi anche in Is 56-66.
Ma soprattutto straordinaria per contenuto e per novità del messaggio è la profezia circa una figura misteriosa suscitata da Dio come suo Servo, che morirà vittima per salvare Israele e l’umanità: si tratta dei già citati testi di Is 42,1-7; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12 circa il “Servo del Signore”.
Non si manchi infine di ascoltare un ulteriore messaggio profetico dagli oracoli del secondo (e anche del terzo) Isaia: da penetrare alla luce di Lamentazioni 2,9-10; Salmo 74,9; Daniele 3,37-38 “… Signore, siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione… Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta…”; ecc.
Dispersi effettivamente in piccoli nuclei lungo l’Eufrate e lungo gli altri fiumi e canali dell’area mesopotamica, i deportati in Babilonia non hanno più a sostegno e a interpretazione della loro vicenda spirituale e culturale le strutture di un tempo: né lo stato teocratico, né le figure istituzionali o carismatico-profetiche del passato.
Ebbene, proprio in esilio Israele riscopre la struttura basilare della sua identità più profonda e originaria: il Signore, cui aderisce fin dal tempo dei patriarchi, è un “Dio-che-parla”!
Pertanto la relazione con lui, la “religiosità”, cioè, che Israele è chiamato a vivere, la sua esperienza personale e collettiva di incontro con il mistero divino non prevedono sacrifici e riti, simili a quelli compiuti da tutti i popoli nei loro santuari per rendere culto alle rispettive divinità.
Vero culto sacrificale del popolo di Dio è l’ascolto del Signore che parla. Si ricordi cosa già dichiarava il profeta Samuele al re Saul, intento a compiere un rito a Gàlgala (1Samuele 15,22): “l’obbedire è meglio del sacrificio, l’essere docili è più del grasso di arieti”. Si comprende allora come l’intero messaggio profetico del secondo Isaia sia incluso da due grandi pagine del medesimo, intorno all’ascolto della Parola di Dio: Is 40,1-11; 55,1-11.
Eccone un brano (da 55,6-11):
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino,
l’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri
non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie.
Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere
irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto
ciò per cui l’ho mandata.