martedì, 08 aprile 2025
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Suzy, scampata ai massacri di Aleppo: ma la fede vince gli abissi del male

La giovane siriana si è rifugiata nel nostro territorio. Racconta le atrocità che ha visto nella sua città. Ma la speranza di pace non viene meno.

A parlare con Suzy si scende negli abissi del male, si incontra il dolore inconsolabile ma, quasi inspiegabilmente, si intuisce anche la fede così messa in discussione eppure solida, la forza ed il coraggio che solo stando davanti ad una situazione, forse anche la più inumana, viene fuori. “Non sono arrabbiata, cerco solo di essere onesta e di dire le cose come stanno, sperando che possa servire al mio popolo”, mi dice per prima cosa questa donna, siriana di origine armena, classe 1971, laureata nel suo paese in Sociologia e Teologia, poliglotta, in Italia da aprile 2013 come rifugiata politica.

 

Macabro elenco

Ecco il suo grido disperato: “Gente rapita, sgozzata, ragazze violentate e vendute come schiave, centinaia di migliaia di persone spogliate di tutto, deportate… se la situazione soprattutto dei cristiani d’oriente è arrivata a questo punto dipende anche dal silenzio del mondo occidentale e dal racconto spesso manipolato dei fatti accaduti”. Suzy comincia ad elencare fatti non tanto lontani nel tempo: “Ad Aleppo hanno rapito due sacerdoti, uno armeno cattolico, l’altro greco ortodosso, ma nessuno  ha speso una parola. Allora hanno sequestrato due vescovi ma le notizie su di loro e sulla liberazione, sono state falsate. Poi i terroristi hanno attaccato il villaggio di Maaloula, uccidendo, compiendo sacrilegi e saccheggi; hanno rapito delle suore. E poi è stata la volta dei sacerdoti gesuiti uccisi, e delle città di Al Raqua e Deyr Al Zormesse sotto assedio. Il mondo è rimasto a guardare”. E potrebbe andare avanti ancora a lungo, parlando di Aleppo, la sua città.

“La guerra è degli estremisti e di chi li arma, delle potenze mondiali che hanno interessi politici, economici, di controllo su quelle regioni”. Oltre tre milioni di siriani sono fuggiti da questo conflitto che scuote il loro paese e sono diventati profughi, per la metà si tratta di bambini e questa cifra non include le centinaia di migliaia di altre persone in fuga dalla Siria.

 

Fuggire ai massacri

“Vivevamo in pace insieme – sostiene Suzy – prima che la guerra, portata dall’estero, si diffondesse. Le milizie terroriste hanno messo in pratica la legge islamica nelle città occupate, tagliando mani e teste, crocifiggendo, massacrando, rapinando. Un mio cugino è stato liberato solo dopo il riscatto, ma non i miei vicini che, pur avendo pagato, sono stati uccisi. Mentre un mio amico medico correva a salvare la vita di tanti bambini chiusi in un palazzo che stava bruciando è stato colpito da un terrorista ed è morto sul colpo. Quando i miei genitori hanno visto cosa stava accadendo hanno deciso di mandarmi via, per salvarmi”. La famiglia di Suzy sapeva che il viaggio sarebbe stato rischiosissimo. “Durante il tragitto in pulman verso il Libano i ribelli hanno fermato più volte il nostro autobus. Mi hanno puntato il mitra alla testa chiedendomi perché non portavo il velo. Ho risposto: «Sono cristiana», mi hanno provocato un po’ ma alla fine mi hanno lasciata. Dal bus però hanno fatto scendere i ragazzi più giovani e non si sa che fine abbiano fatto”. Volata in Svezia con il pretesto di un permesso turistico dopo sei mesi - e non senza rischiose traversie anche nella civilissima Stoccolma - è arrivata in Italia. “Ho trovato una bella accoglienza, sono stata inserita in un progetto per rifugiati politici ed ora lavoro”.

Tornare

“Molti occidentali preferiscono la libertà politica trascurando altri valori come la sicurezza, la libertà religiosa, l’uguaglianza tra etnie - sostiene -; per noi orientali più importante di tutto è il rispetto etnico-religioso”. Suzy vive continuamente in ansia per i familiari lasciati ad Aleppo: “Non potete immaginare lo stato d’animo e la sofferenza psicologica in cui viviamo. Ad esempio: quattro anni fa il mio fratello più piccolo, un bel ragazzo robusto di 27 anni, si è ammalato ed è morto. Per me, questa è stata una prova durissima ed ho fatto molta fatica ad accettare la sua scomparsa. Ora, dopo aver visto la guerra in Siria e mentre continuo a ricevere le notizie di tanti ragazzi che muoiono di morti atroci, ringrazio Dio per averlo risparmiato da tutto questo”. E conclude: “Non sono qui di mia volontà, non sono fuggita da una situazione di povertà. Non voglio togliere il lavoro a nessuno ma solo salvare la mia vita”. Il suo desiderio è ritornare, prima o poi, nel suo paese pacificato. (F.G.)

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