Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
STORIE DI NATALE: Abitare "insieme"
E’ questa la sfida che otto famiglie stanno portando avanti a Borgo Ponte Canale, tra Santandrà e Villorba. Al posto di un condominio ci sono casette, un grande giardino e una struttura comune.
Al mattino, talvolta, riesci ad uscire per andare al lavoro senza essere completamente scapigliata, perché qualcun altro sta accompagnando anche i tuoi figli a scuola. E alla sera, specie d’estate, dal parcheggio delle auto all’ingresso di casa puoi metterci anche mezz’ora, perché intanto ti fermi a salutare e a scambiare due battute con i tuoi vicini. In mezzo c’è lo spazio comune del gioco in giardino dei bambini, l’aiuto concreto tra mamme nel guardarsi i figli, così da andare a fare la spesa senza correre il rischio che l’ultimo della famiglia possa “tirar giù” il supermercato. E poi c’è la campagna, il silenzio dal traffico, le belle esperienze che la quotidianità condita ad un approccio creativo può offrire, le relazioni di normale, cortese, vicinato.
Questa è una piccola parte dell’esperienza che 8 famiglie, 19 bambini, stanno portando avanti a Borgo Ponte Canale, tra Santandrà di Povegliano e Villorba, ormai da tre anni. Una sorta di condominio, dove al posto di un monoblocco ci sono casette su due piani, un gran giardino e una struttura comune usata per riunioni, laboratori, attività, feste, corsi (in questo momento di inglese ed informatica).
“Quando siamo partiti abbiamo condiviso tra famiglie l’impronta del cohousing – ricordano Valentina ed Alessandro, che in rappresentanza degli abitanti del Borgo mi incontrano per raccontarmi qualche frammento di questa esperienza –, l’idea di mettere in comune alcuni spazi, motivo per cui i giardini non sono recintati, e di lasciare le auto fuori dai luoghi in cui viviamo”. Arrivavano tutte da percorsi diversi, ma avevano lo stesso desiderio: trovare un contesto “a misura di famiglia”, per quanto possibile in modo ecosostenibile e responsabile dell’ambiente, privilegiando le relazioni di vicinato e di solidarietà. Era stata la Fiera Quattro passi a farle concretamente incontrare e dopo alcuni anni, nel 2014 il progetto è decollato.
“Ci abbiamo senza dubbio guadagnato nel sostegno reciproco – continuano -, nell’organizzazione quotidiana dei bambini, nella socialità”. Hanno una babysitter in comune dall’ora di pranzo a metà pomeriggio per tre giorni alla settimana, gestiscono un Gas (gruppo di acquisto solidale) che coinvolge anche alcune famiglie del territorio, si ritrovano una volta al mese per confrontarsi e progettare/sognare, oltre che per le questioni tecniche: il riscaldamento, il taglio dell’erba, la realizzazione di un orto sociale…
“A fondamento della nostra esperienza resta l’assoluta libertà di ciascuno di scegliere o meno quanto impegnarsi nel progetto e come giocarsi, ovviamente con la consapevolezza che più si apre più si riceve. Ma, fatte salve le regole di base, ogni famiglia si gestisce come crede, nel rispetto reciproco”, sapendo che anche dire dei “no” è faticoso e richiede onestà.
D’estate capita spesso di cenare insieme all’aperto, durante le feste natalizie alcuni regali vengono scelti ed acquistati per essere di tutti, le mamme si aiutano nella gestione dei bambini. “La libertà di permettere a ciascuno di scegliere la misura del suo stare nel cohousing chiede di tenere a bada le aspettative di tutti e di trovare un equilibrio nell’eterogeneità che è un difficile ed utilissimo esercizio di reciproca accoglienza – spiegano ancora Valentina ed Alessandro -. E’ bello vedere che il desiderio e il bisogno di «buon vicinato» restano fondamentali ed alimentano il nostro stare assieme”.
Vivere lì, in fondo, è un acceleratore di occasioni che altrimenti si sarebbero potute attivare più a fatica. E lo stesso percorso lo fanno anche i figli: “Imparano relazioni di fraternità, crescono nella socievolezza, diventano attenti all’inclusione di tutti. E’ inevitabile quando in tanti, da piccoli, si condividono quotidianamente spazi di gioco ed, ancora di più, di vita”. Nulla di eccezionale, anzi, ci tengono a dire: solo la risposta al bisogno di uscire dall’isolamento in cui spesso la famiglia si trova per tenere aperti gli orizzonti, della mente, del cuore e degli occhi.