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Reportage: Il cammino francese di San Martino

Sulle tracce dell'uomo del mantello, il santo che divise in due la storia

Nasce in Ungheria attorno al 315, poi va in Italia, dove inizia la formazione cristiana. E successivamente in Francia. Martino converte, edifica, trasforma l’Europa diffondendo la sua parola oltre le frontiere. Tracce profonde, fertili. In Francia 220 città recano il suo nome e 3.700 monumenti gli sono dedicati. E poi ancora pitture, sculture, vetrate, libri, album a fumetti: Martino è visto proprio come un supereroe!
A distanza di 10 anni dalla prima volta, lo scrittore Gian Domenico Mazzocato ha percorso col suo camper il “cammino di san Martino”: una sorta di pellegrinaggio lungo le tappe francesi più significative per il santo.

Domenica, 18 giugno, Poitiers e Ligugé. La Francia che si veste di giallo per l’evento degli eventi, il Tour. I luoghi che ospitano una tappa o un passaggio della Grand Boucle, sono pavesati a festa: bandiere, magliette, disegni nei campi pronti alle riprese aeree. Poitiers è una cittadina di 80mila abitanti abbracciata da un’ansa del Clain, affluente della Vienne. Martino è qui attorno al 356: ha appena lasciato con gesto clamoroso l’esercito di Roma e viene accolto come discepolo dal vescovo Ilario.
Ritorna verso il 360 e fonda a Ligugé, sul terreno messogli a disposizione proprio da Ilario, un monastero, dove fonda il monachesimo occidentale che alterna momenti di solitudine a momenti comunitari. Poitiers è dominata dalla figura di Radegonda (518-13 agosto 587), moglie del re merovingio Clotario I. Fu lei a fondare il convento di Sainte Croix e ad accogliere il poeta di Valdobbiadene Venanzio Fortunato, che di Martino scrisse una folgorante biografia in esametri. Viene raffigurata con lo scettro di regina e col libro, segno di sapienza. Infatti tutt’oggi passano, sotto il suo sarcofago di granito nero, gli studenti per ottenere la grazia di superare gli esami. Oltre alla chiesa dove dorme Radegonda, Poitiers esibisce l’avvolgente romanico di Notre-Dame e il grandioso gotico della cattedrale di Pietro e Paolo. Qui però, di Martino non vi è traccia, cosa che non accade a Ligugé dove sorge un’abbazia dedicata, animata da una comunità benedettina, dove Martino viene raffigurato sul frontone della chiesa in vesti episcopali e reggente un modellino di Poitiers.

Lunedì, 19 giugno, Candes-Saint-Martin. A una sessantina di chilometri da Ligugé, Candes-Saint-Martin è un borgo di 200 abitanti. Il tempo in questo luogo sembra essersi fermato e l’acqua dei fiumi non sembra quasi muoversi.
Qui Martino muore l’8 novembre 397. Veniva da Tours, di cui era vescovo dal 371. Un quarto di secolo in cui ha trasformato il territorio e il ruolo del vescovo. Con lui, per la prima volta, il primate esce dalle mura della città e percorre le campagne pagane, evangelizzandole. Bisogna formare i preti per le parrocchie rurali e fonda vicino a Tours, a Marmoutier, un seminario e monastero. Sarà una delle più potenti abbazie dell’Occidente, ma di cui oggi non resta praticamente nulla. Martino inaugurò la pratica delle visite pastorali e fu proprio durante una di queste, a Candes (la Condate romana), che lo colse la morte. Al solito dormiva su un letto di cenere nella cappella del borgo, mentre i suoi seminaristi erano ospiti delle famiglie del posto.
Qui è sorta una collegiata e una lapide che indica il punto della morte. L’edificio gotico, addossato alla collina, ha attraversato momenti di splendore, ma oggi, purtroppo, è molto trascurato.
Martino fu trasportato a Tours in barca, sulla Loira, nottetempo, perché si temeva che i locali volessero trattenere le sue spoglie. All’alba, sulle sponde, era assiepata una folla immensa, orante e piangente. In seguito a questi avvenimenti, divenne subito santo.

Martedì, 20 giugno, Angers. La città, di 150 mila abitanti, al tempo di Martino si chiamava Juliomagus. Anche qui esercitò la sua azione pastorale, dove la cattedrale di san Maurizio ne ricorda la vicenda umana in alcune splendide vetrate. La vicina collegiata di san Martino è ora museo dell’arte medievale dove, scendendo nella cripta , si viene riportanti indietro nei secoli, proprio ai tempi del nostro santo.
Un pellegrinaggio nel sacro non può trascurare (castello dei duchi d’Angiò, XIII secolo) gli arazzi (100 metri) con le storie dell’Apocalisse giovannea. Racconto di inaudita potenza, lotta tra bene e male. Assoluta bellezza, unica al mondo. La volle attorno al 1375 Luigi I, fratello di re Carlo V, che affidò la realizzazione dei cartoni a Jean (Hennequin) de Bruges.
Commissionò il lavoro al mercante Nicolas Bataille che lo fece tessere a Parigi dall’arazziere Robert Poisson. Con esiti favolosi.

Mercoledì, 21 giugno, Marmoutier e Tours. Marmoutier, il luogo dove si formavano i preti, e Tours, capoluogo di Indre e Loira. Nel cuore della città si erge ciò che rimane dell’antica chiesa di San Martino: la torre Carlomagno, con la scena del taglio del mantello.
L’attuale cattedrale è lì accanto, dove ci accolgono le parole di Venanzio Fortunato: “Il santo è fiamma che rifulge” (la messa miracolosa di Martino, gres di Camille Alaphilippe). La tomba monumentale è nella cripta, contornata da innumerevoli ex voto e dalle vetrate che raccontano la vita di Martino. Anche nella vicina cattedrale di Saint-Gatien gli episodi principali sono affidati alle due vetrate, dietro l’altar maggiore. Invece, una teca nella cappella dedicata (navata di sinistra) contiene le reliquie del santo.

Giovedì, 22 giugno, Amiens. Alta Francia, praticamente Normandia, memoria dello sbarco alleato. Qui sorge la cattedrale gotica più grande di Francia: Notre-Dame: famosa per il suo forte impatto con la facciata dominata dal grandioso rosone.
Il viaggio storico-religioso termina dove tutto è cominciato. Nevoso inverno del 334, porte di Amiens. Un ragazzotto di forse sedici anni, dal nome guerriero (Martino è diminutivo del crudele dio pagano della guerra, Marte) vede un vecchio tremante di freddo. Non è cristiano e fa il soldato già da qualche anno. Il padre, infatti, militare di carriera, gode del privilegio di far arruolare il figlio innanzi tempo.
E’ piuttosto rozzo, ma, d’istinto, si toglie il mantello e lo taglia in due. Non è una persona colta né mai lo sarà (non ha lasciato nulla di scritto), ma spacca in due la storia. E’ quasi un anno zero della cristianità. Si tiene la metà che appartiene all’imperatore e non può alienare. La sua metà la getta sulle spalle del mendicante, si china su di lui, forse scusandosi per non poterlo donare tutto. Venanzio Fortunato gli mette in bocca parole semplici: “Un po’ più di caldo a te, un po’ di freddo per me”.

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