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Medico di famiglia, un mestiere radicalmente cambiato in pochi giorni

“Il nostro lavoro è cambiato radicalmente nel corso di un mese. Sono state stravolte le modalità operative e di pensiero. Dentro alla drammaticità della situazione, che si avverte tutta, per certi aspetti è anche una cosa stimolante e interessante”. Lo afferma un medico di base, Walter Meneghetti, che ha il suo ambulatorio in uno dei centri più colpiti dal Covid-19, Casale sul Sile.

13/04/2020

“Il nostro lavoro è cambiato radicalmente nel corso di un mese. Sono state stravolte le modalità operative e di pensiero. Dentro alla drammaticità della situazione, che si avverte tutta, per certi aspetti è anche una cosa stimolante e interessante”. Lo afferma un medico di base, Walter Meneghetti, che ha il suo ambulatorio in uno dei centri più colpiti dal Covid-19, Casale sul Sile.

“Ma io preferisco continuare a essere chiamato medico di famiglia - ci dice -. E qui l’impatto sui nuclei familiari è stato davvero alto, anche di tipo emotivo e psicologico. Oltre ai casi di positività, dobbiamo gestire paura, ansia, la preoccupazione dei parenti dei malati. Abbiamo passato settimane difficili a causa del focolaio della casa di riposo. Io non sono entrato nella struttura, lo fa un mio collega, però evidentemente quella situazione ha avuto effetti in tutto il paese”.

Come, dunque, è cambiato il lavoro di medico? “Prima eravamo oberati di richieste, di appuntamenti, a volte anche in modo eccessivo. Ora l’ambulatorio si è svuotato, ma dobbiamo operare tantissimo in videochat. Non è certo facile «interpretare» a distanza. Poi, c’è tutto il protocollo da seguire per i pazienti «covid»: bisogna attivare la segnalazione, gestire il tampone, il monitoraggio a casa, con telefonate anche più volte al giorno, aiutarli a fare passare il tempo, capire se bisogna intervenire con un ricovero”. In poche parole, “avvertiamo di avere un ruolo importante in questo momento, si coglie il valore della medicina di famiglia. E, anche senza interventi diretti, ci viene chiesto di essere presenti, di infondere vicinanza e tranquillità”.

Tutto questo si mescola alla delicatezza, del compito, alla preoccupazione e a un po’ di paura, vissuta soprattutto dopo i primi contagi, nella consapevolezza che nella fase iniziale le protezioni non sempre erano state del tutto adeguate. “Anche ora, lo devo dire, le dobbiamo centellinare. A volte ci chiedono da andare a domicilio per fare i tamponi. Lo capisco, il 118 non ce la fa a gestire tutti i casi. Certo, loro entrano nelle abitazioni con una bardatura diversa. Bisogna fidarsi e, per chi crede, affidarsi”.

Anche nei pazienti “è entrata prepotentemente la paura della morte. Noi come medici, però, conoscendo ormai settimanalmente questa malattia, vediamo che non tutti sono candidati ad avere i sintomi più gravi, o ad averli tutti insieme. Qualcuno ha un po’ di febbre, qualcun altro tosse, qualcun altro ancora non riconosce più i gusti. Iniziamo a usare qualche farmaco, tra quelli sperimentati in queste settimane. Si tratta di pastiglie, date per via orale, e qualche risultato mi pare lo diano. Non tutti peggiorano, ma quando accade di essere ricoverati c’è una sofferenza forte, acuita dall’isolamento. C’è la paura di «non rivedere più i propri cari»”.

Il dottor Meneghetti ha un’altra forte preoccupazione: “Gli altri pazienti, chi ha diverse patologie, come i cardiopatici, o i diabetici... Mi preoccupano, sono «spariti», non c’è mica solo il coronavirus. Prima venivano, a volte erano fin troppo scrupolosi. Questo è un altro dei motivi per cui dico che il nostro mestiere in questa fase sta cambiando. Prima dovevamo solo aspettare i pazienti, venivano per forza. Ora dovremo trovare modalità nuove, andare noi in cerca di loro, chiamarli. A cambiare è proprio la nostra mentalità di approccio, e credo che in questo ci sia anche un aspetto positivo. E per i prossimi mesi dovremo essere in grado di programmare, non si tornerà indietro alla situazione di prima”. In generale, conclude il medico, “vedo maggiore senso civico e di solidarietà. Spero che rimanga, che questo sentirsi tutti più solidali sia una chance in più per la nostra società”. (Bruno Desidera)

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