Da quasi un mese, nella sua malattia, Francesco è sostenuto giorno e notte da una incessante preghiera...
Guarita dal coronavirus: "Grazie alla musica e al telefono, e ho ripensato alla Madonna di Loreto"
“Mi è sembrato di entrare in un’altra dimensione. Il trasferimento al reparto infettivi di Treviso avviene in un’ambulanza, avvolta in una barella speciale tutta ricoperta, mi sembrava di essere un rifiuto tossico. Non riuscivo a credere che stesse capitando a me”, racconta una trevigiana, giovane rispetto alla media dei malati.

“Le lacrime sono arrivate senza freno, disperate e a singhiozzi. Il medico al Pronto soccorso ha letto il referto. “Positiva al Covid”. Maria, un nome di fantasia per proteggere il suo privato, nonostante fosse giovane, in buona salute, temeva proprio di essere stata infettata dal virus, ma di fronte alla conferma anche lei, di solito razionale e posata, non ha resistito. Oggi, al telefono dalla sua abitazione in un centro della Pedemontana ne parla con una certa calma, anche se fino a che non farà in tampone di controllo non sarà tranquilla.
Si è ammalata ai primi di marzo e per almeno una settimana nessuno si era preoccupato del coronavirus. Neppure il suo medico di base. “Non sei un soggetto a rischio”, aveva detto dopo quattro giorni di febbre alta.
“La prima febbre il mercoledì, prima lieve poi sempre alta. Nel fine settimana fu un calvario. Dolori ovunque, febbre e mancanza di forze”, racconta. Finalmente, il medico lunedì si decide per la radiografia. “Mi trascino fino all’ambulatorio con 38 di febbre e riporto subito il referto al medico che lo apre di fronte a me. Io ancora ero convinta di non avere a che fare con il Covid. Anche quando il medico mi dice di andare al Pronto soccorso sono abbastanza serena, tutti, compreso il medico mi tranquillizzano. Al Pronto soccorso erano increduli. Non era possibile, però mi chiudono la notte in una stanza con il vetro e mandano a casa il mio compagno, dicendogli che doveva stare in quarantena”.
La mattina dopo alle 12, il verdetto. “Mi è sembrato di entrare in un’altra dimensione. Il trasferimento al reparto infettivi di Treviso avviene in un’ambulanza, avvolta in una barella speciale tutta ricoperta, mi sembrava di essere un rifiuto tossico. Non riuscivo a credere che stesse capitando a me”.
Maria, al Ca’ Foncello, divide la stanza con una signora ultrottantenne, una di quella che si è infettata nel reparto di Geriatria. “Sentivo il respiratore andare notte e giorno. Soffriva molto. Io, per fortuna, non ho mai avuto bisogno di ventilazione. Sapevo che la mia storia poteva andare da qualsiasi parte e anche finire là, il dolore continuava a essere forte, non avevo la forza di alzarmi. Avevo il cellulare e parlavo con il mio compagno. E poi avevo la mia musica, Bach, il mio preferito. Musica classica sempre, un aiuto per me straordinario: la musica è la mia vita e posso dire che stavolta mi ha ridato la vita”.
Quei cinque giorni in compagnia di questi medici e infermieri e oss gentili, chiusi nel loro scafandro, ma con la capacità di dare sollievo, di dire la parola giusta. “Capisco il loro stress, quando entrano in quelle stanze impiegano interminabili minuti a prepararsi, uscendo tolgono prima i guanti e li gettano in un cestino dentro la stanza, poi aprono la porta con il gomito. Una serie di movimenti precisi e delicati, non possono distrarsi mai”.
Maria non ha mai sofferto la solitudine, ma stavolta le videochiamate l’hanno aiutata. “Mi consolava vedere alle spalle del mio compagno le cose note di casa mia. Vedendo lui seduto a tavola a mangiare, ho capito che dovevo alimentarmi. La malattia ti porta via il gusto, non ti importa di mangiare, eppure mi sono fatta forza. Una notte, in piena notte, ho visto un panino ancora incartato, là sul tavolo e mi sono fatta forza e l’ho mangiato, ci ho impiegato quasi un’ora”.
Colpisce la serenità ma anche il velo d’ansia che resta nelle parole di Maria. Impossibile non chiedere se in quelle notti, nel reparto malattie infettive, quando il dolore e la paura stanno per sopraffarti, a lei si sia affacciata la fede. Una domanda delicata che Maria accoglie con serenità. “Confesso che il mio rapporto con la fede è stato alterno, anche conflittuale. Non saprei dire come sono oggi. Ricordo, però, che all’improvviso un giorno, dal nulla dei pensieri, mi si è formata un’immagine: la casa della Madonna di Loreto. L’ho vista diversi anni fa, non so perché mi sia venuta in mente. La scorsa estate ero stata a Gerusalemme, forse erano quelle le immagini più fresche che avevo. Invece mi è venuto alla mente Loreto. Non so. Di certo se tutto andrà bene quest’estate voglio andare a salutare la Madonna di Loreto. Lo farò di sicuro”.