Da quasi un mese, nella sua malattia, Francesco è sostenuto giorno e notte da una incessante preghiera...
Giovanni vive, è il miracolo dell'amore
I protagonisti sono una famiglia normale, che ha avuto in affido un piccolo con una gravissima forma di disabilità. Non doveva sopravvivere, ha già compiuto tre anni.

Mentre prendo carta e penna per cominciare l’intervista, Stefano risponde al telefono: lo sta chiamando il papà di un compagno di scuola del secondo figlio, nove anni, per accordarsi su chi il giorno dopo andrà a prendere i bambini. Chiara, intanto, sta seduta con la piccola di casa, in braccio Giovanni che già dorme, e la osserva dare da mangiare ai criceti. La più grande è in camera sua a leggere. Vita ordinaria di una famiglia normale.
“Da giovani sposi abbiamo pregato tante volte il Signore di renderci aperti e accoglienti, di donarci la missione. A modo suo ci sta accompagnando proprio dove chiedevamo di andare”.
Fino a 6 mesi di vita
Stefano e Chiara vivono nel Trevigiano e sono sposati da una decina di anni quando a gennaio 2013, con tre figli piccoli, partecipano al corso per l’affido dell’Ulss 9. A marzo li chiamano e propongono loro un bambino di un mese, non riconosciuto alla nascita, con una gravissima forma di disabilità.
In Italia sono circa 4.000 i minori come Giovanni, nati con disabilità e abbandonati dalla famiglia: il loro destino è, nella maggior parte dei casi, una lunga ospedalizzazione o il ricovero in una struttura residenziale sanitaria. Sono soprattutto situazioni congenite molto complesse che necessitano di una presa in carico globale.
“Ci dissero che stava in ospedale e che non appena si fosse stabilizzato, ci avrebbero richiamato”. Hanno confermato la loro disponibilità e hanno attesto. A giugno sono stati ricontattati: “Allora ci è stato spiegato il progetto di affido pensato per Giovanni, un bimbo ritenuto non adottabile per la sua patologia. Sarebbe stato un affido condiviso con un’altra famiglia, 6 mesi da noi e 6 da loro, per vivere la prospettiva della temporaneità” ma anche perché nessuno, né i medici né i servizi, avrebbero scommesso sulla sua sopravvivenza. In famiglia avrebbe vissuto nell’affetto, nella relazione, con tanti stimoli.
“Giovanni cominciava a fare un pezzetto di strada con noi, all’inizio era difficile anche capire come tenerlo in braccio, come gestirlo - racconta Chiara -; era necessario che venisse seguito costantemente dall’ospedale”.
Scientificamente inspiegabile
In barba alle previsioni della scienza, Giovanni vive. Cresce. A 6 mesi e mezzo comincia lo svezzamento; porta gli oggetti alla bocca; sorride. “Alle ecografie periodiche ci dicevano che era inspiegabile perché di fatto il suo cervello non si formava. Eppure noi i suoi progressi li vedevamo eccome” spiega Stefano. “Eravamo chiamati ad essere solo i suoi genitori affidatari, le questioni mediche in fondo non dovevano essere uno nostro problema. Questo è stato molto liberante, perché ci ha permesso di concentrarci sulla relazione tra di noi, con i fratelli e tutte le persone che frequentano la nostra casa” sottolinea Chiara. Fatto sta che oggi Giovanni ha tre anni e a settembre comincerà la scuola materna.
Secondo i dati del Tavolo nazionale per l’affido, poco meno di un bambino accolto su dieci presenta una qualche forma di disabilità certificata. E’ difficile prendersi cura di un bimbo disabile. Motivo per cui sostengono che siano necessarie misure utili a favorire l’affidamento e l’adozione di minori disabili, grazie a meccanismi di supporto professionale alle famiglie, accessi agevolati a prestazioni sanitarie e riabilitative, erogazione di contributi economici. “Sono gli ultimi tra gli ultimi, abbandonati perché affetti da malattie e disabilità; non è semplice occuparsi di loro, ma proprio per questo un paese civile deve fare quanto in suo potere per aiutarli a trovare una famiglia”.
Come si può fare
“La nostra vita si è complicata, su questo non c’è dubbio, ci siamo rimodulati anche in base ai suoi ritmi. Con Giovanni abbiamo solo fatto i genitori, lo abbiamo accolto così com’è e abbiamo provato a volergli bene”. Non si è mai preparati, Stefano e Chiara ne sono convinti “ma, quando dici un sì, che è la disponibilità alla vita, poi tenti anche di starci dentro, sapendo che è molto impegnativo, ma ti affidi: a chi ti sta accanto, ai servizi, alle famiglie con cui riesci a condividere pezzetti di strada, al Signore”. Hanno accolto in affido Giovanni e hanno vissuto l’esperienza di essere loro stessi chiamati ad affidarsi. “Condividere un bambino con un’altra famiglia è stato impegnativo, ci ha chiesto di uscire dai nostri schemi educativi, ma senza dubbio è stato anche il valore aggiunto di questa esperienza. Giovanni, come ogni figlio, va condiviso, non possiamo appropriarcene”. E, come sempre accade, se tutto va bene la gente tace, ma appena c’è un problema, una fatica, allora le parole cadono come macigni: «Ma cosa siete andati a cercare? Non vi bastavano i vostri tre figli? Visto che non si può fare?». Abbiamo cercato le motivazioni profonde della nostra scelta, per restare saldi: Giovanni per noi è un dono, non c’è dubbio e non c’è altro da aggiungere”. Del resto, Stefano e Chiara, nella loro semplicità, stanno dimostrando che è possibile.
Il valore della fragilità
La fragilità di questo figlio, poi, è diventata tema di riflessione: “Ne abbiamo scoperto la bellezza, la dignità - raccontano -. Ci siamo stupiti di cose semplici che da un bambino disabile non ti aspetti e ne abbiamo gioito. La fragilità di Giovanni ci invita ad accogliere le nostre fragilità, il bisogno che tutti abbiamo di essere difesi, apprezzati, voluti bene”. Accoglierlo ha voluto dire convertire il cuore e questa esperienza ha inciso sulla vita stessa di un bambino che tutti pensavano non sarebbe sopravvissuto. “Certo, l’esperienza della disabilità è anche fatica, solitudine, senso di colpa, disagi quotidiani. Conosciamo diverse famiglie con figli disabili, percepiamo che ci sono sofferenze inimmaginabili che per Grazia, noi non viviamo. Insieme ai nostri figli e a Giovanni - concludono - siamo in cammino dietro a Gesù; la nostra preghiera è la vita quotidiana. Lui ha preso sul serio i desideri profondi e positivi del nostro cuore e ci dà l’occasione di viverli concretamente”.