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DOSSIER NATALE: "Giornalista e nemico del buio"

“Sì, è proprio una missione. Ci sono i missionari e ci sono i giornalisti, che hanno il compito di cercare di capire cosa succede nel posto in cui sono inviati, di fare chiarezza là dove invece si cerca di nascondere, come per esempio sta succedendo per la Libia e per i migranti”. Far venire alla luce, appunto, ciò che altrimenti resterebbe al buio. E’ d’accordo, il giornalista di “Avvenire” Nello Scavo, quando gli facciamo notare che abbiamo scelto anche la sua vicenda per arricchire questo numero della “Vita del popolo”, incentrato sul legame tra il Natale e la luce, in particolare il “portare alla luce”.

23/12/2019

“Sì, è proprio una missione. Ci sono i missionari e ci sono i giornalisti, che hanno il compito di cercare di capire cosa succede nel posto in cui sono inviati, di fare chiarezza là dove invece si cerca di nascondere, come per esempio sta succedendo per la Libia e per i migranti”. Far venire alla luce, appunto, ciò che altrimenti resterebbe al buio.

E’ d’accordo, il giornalista di “Avvenire” Nello Scavo, quando gli facciamo notare che abbiamo scelto anche la sua vicenda per arricchire questo numero della “Vita del popolo”, incentrato sul legame tra il Natale e la luce, in particolare il “portare alla luce”.

 

“Sotto protezione”

La vicenda di Nello Scavo, molte volte inviato in Paesi ad alta tensione, come Libia, Siria, Turchia, e autore di libri di successo, è nota. Da qualche settimana, il giornalista è stato messo sotto protezione, per i suoi coraggiosi servizi sulla Libia, sulla gestione dei migranti, sulle condizioni in cui essi vivono nel Paese nordafricano, sugli interessi economici spesso inconfessabili che ruotano attorno al caso libico. In particolare, Scavo ha documentato il ruolo centrale di Abd al-Rahman al-Milad, comandante della Guardia costiera libica, e i suoi rapporti con le autorità italiane. Nonostante sia stato interdetto dall’Onu, perché considerato pesantemente implicato nel traffico e nelle torture di esseri umani, il comandante, conosciuto come Bija, ancora nel 2017 partecipò in Sicilia a un incontro con le autorità italiane. Lo stesso trafficante ha detto di essere stato nei ministeri dell’Interno e della Giustizia.

 

La “missione” del giornalista

E’ a partire da questo contesto che Scavo parla volentieri di come concepisce il ruolo del giornalista e di come sta vivendo questa inedita situazione, di essere messo sotto tutela. “Il giornalista è proprio chiamato a fare luce, a fare chiarezza, ad approfondire. Io il mio lavoro l’ho sempre concepito così. Vale se si è inviati all’estero, vale se si deve seguire un Consiglio comunale. Ci sono sempre delle zone buie, non conosciute, da far emergere”. Questo vale, “a maggior ragione, per un giornalista cattolico o per chi scrive in un giornale cattolico, proprio nel momento in cui il Papa sollecita a dare voce a chi non ha voce, a chi vive in schiavitù”. Nel caso di Nello Scavo, oggi “ciò significa smascherare un sistema di potere, il fatto che ci siano degli essere umani usati per logiche politiche o economiche, che conti di più la sicurezza di un pozzo petrolifero che quella di una persona, che i migranti siano merce di scambio in negoziati indicibili, o arma di ricatto verso i Governi europei. Il fenomeno migratorio, infatti, viene usato come propellente del consumo elettorale e come collante, ma questo rischia di ritorcersi contro chi ha sfruttato le paure. Il Governo va in difficoltà, se chi gestisce il traffico di uomini inizia a riaprire in modo massiccio la rotta mediterranea”.

Da qui i contatti con gente impresentabile, a partire da chi, come Bija, “si è visto mettere al bando dall’Onu, che ne ha bloccato i beni e vietato l’espatrio”. Qui sta la gravità di quanto denunciato dagli articoli scritti per “Avvenire”, “come hanno capito soprattutto all’estero, meno qui in Italia”.

 

Tutela che nasconde una contraddizione

Certo, da qualche settimana la vita del giornalista è cambiata, come possono testimoniare i vicini e i colleghi, anche se il sistema di tutela gli consente di lavorare e di vivere in modo abbastanza normale: “Io sono sereno, devo dire che ho l’appoggio estremo e totale di mia moglie, questa situazione non mi pesa nella vita domestica. Ci tengo a dire che la richiesta non è venuta da me, non ho presentato alcuna denuncia. La protezione mi è stata data, evidentemente, in seguito a informazioni di intelligence o comunque perché alle autorità sono giunte delle notizie”. Scavo ci tiene a sottolineare un altro elemento: “Pensate la contraddizione: lo Stato da una parte mi protegge per i miei articoli su quello che è considerato un pericoloso trafficante di esseri umani. Dall’altra parte, il Governo ha cercato di difendere Bija, gli ha dato legittimità e così pure alla sua Guardia costiera. E lo stesso attuale Esecutivo sta avendo un atteggiamento timido”.

Perché la Libia è così importante?, gli chiediamo. “Perché è un Paese rispetto al quale abbiamo legami storici e vicinanza geografica. E perché, come facciamo anche con la Turchia, lo finanziamo, in teoria per stabilizzare la situazione e per promuovere i diritti umani. Ma in realtà, non è così. Oggi la Libia è un inferno, per tutti. E l’Italia è o ingenua o complice, da lì non si scappa”.

 

Un lavoro da continuare

Nello Scavo ha ricevuto, in queste settimane, molti attestati di solidarietà. “Questo è vero - dice -. Non mi sento né solo, né isolato. Ho percepito la vicinanza dei colleghi di «Avvenire» e di molte testate. Ma il vero punto, come dite anche voi, non è esprimermi solidarietà, è «fare luce». Vedo che non sono stati in molti ad approfondire le questioni che ho iniziato ad affrontare, con alcune eccezioni come La Repubblica, L’Espresso, i colleghi inglesi di The Guardian”.

Scavo conclude citando una cosa singolare: “Ho scoperto di essere l’unico giornalista al mondo messo sotto protezione per avere ricevuto minacce dall’estero, da un altro Paese. Un motivo in più per occuparsi di Libia”.

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