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Dal 6 marzo la domanda per il Reddito di cittadinanza. I moduli sul sito dell’Inps

Sono documenti complessi, la cui compilazione richiede una certa familiarità con la modulistica della pubblica amministrazione e non appare alla portata di una buona parte dei soggetti potenzialmente interessati. Per cui è facile prevedere un gran lavoro per i Caf (sempre che vada in porto la convenzione con l’Inps).

Dal 6 marzo sarà possibile presentare la domanda per il Reddito (e la pensione) di cittadinanza. A pochi giorni dalla scadenza il sito dell’Inps ha pubblicato i moduli da compilare: quello per la domanda propriamente detta (denominato SR180) e quelli per le comunicazioni di attività di lavoro e altri redditi (SR181 e SR182). Per trovarli bisogna andare nell’area Prestazioni e servizi e cliccare su “Tutti i moduli”. Va detto subito che sono documenti complessi, la cui compilazione richiede una certa familiarità con la modulistica della pubblica amministrazione e non appare alla portata di una buona parte dei soggetti potenzialmente interessati. Per cui è facile prevedere un gran lavoro per i Caf (sempre che vada in porto la convenzione con l’Inps) che con gli uffici postali sono i terminali a cui presentare la domanda. Domanda che comunque è possibile compilare e inoltrare direttamente online.

Resta un paradosso di fondo: l’operazione Reddito di cittadinanza parte quando il decreto-legge che ha istituito la misura non è stato ancora convertito in legge; in quanto decreto-legge le sue norme sono già in vigore, ma la legge definitiva conterrà sicuramente delle differenze non irrilevanti rispetto al testo oggi vigente, a causa delle modifiche apportate nel corso dell’iter parlamentare di conversione.

Il Senato ha già approvato numerosi emendamenti in prima lettura e ora toccherà alla Camera esaminare il testo arrivato da Palazzo Madama. Nel caso di ulteriori modifiche sarà necessario un nuovo passaggio in Senato. Il tutto entro il 29 marzo, termine di scadenza del decreto. Il paradosso si riverbera sugli stessi moduli pubblicati dall’Inps, formulati sulla base del decreto iniziale e destinati probabilmente a essere rivisti in alcuni punti per recepire le novità della legge di conversione. Ma intanto saranno state presentate centinaia di migliaia di domande (la platea potenziale è di oltre un milione di nuclei familiari).
Il problema è che misure come il Rdc richiedono tempi adeguati – come hanno più volte ricordato le organizzazioni che da anni agiscono sul territorio – e mal si conciliano con la fretta con cui si è deciso di andare avanti con l’evidente obiettivo di attivare a tutti i costi un provvedimento di bandiera prima delle elezioni europee.

Preoccupa l’impatto che la massa di richieste avrà sugli uffici postali (chiamati poi a erogare la card per il sussidio) e sui Caf e l’allarme è elevatissimo per il ruolo dei Centri per l’impiego, autentico architrave della filosofia del Rdc, che mescola politiche per l’occupazione e politiche di contrasto alla povertà.

Le Regioni, da cui i Centri dipendono, dicono esplicitamente che si rischia il “caos”, tanto più che non è stato ancora possibile raggiungere un accordo con il governo e si profilano già i ricorsi alla Corte costituzionale perché la materia è di quelle “concorrenti”. In un quadro del genere, inoltre, è veramente difficile immaginare come si possano effettuare controlli efficaci per evitare che accedano al Rdc persone che non ne hanno realmente diritto, una scommessa fondamentale per la credibilità di tutta l’operazione.
Ci sono poi altri paradossi che riguardano il merito del provvedimento. Rischiano di restare esclusi, per esempio, i 50mila senza fissa dimora – vale a dire i più poveri tra i poveri – per l’impossibilità di soddisfare i requisiti di residenza. Requisiti innalzati oltre il ragionevole in chiave anti-immigrati, che pure secondo tutte le analisi sono i soggetti a maggior rischio di povertà. Con un’ulteriore stretta determinata da un emendamento approvato in Senato che rende ancora più difficoltoso il reperimento della documentazione necessaria. Si calcola inoltre che circa 100mila disoccupati perderanno il cosiddetto “assegno di ricollocazione”: sarà assorbito nell’ambito del Rdc, ma non è detto che tutti i disoccupati abbiano i requisiti per accedere alla nuova misura. Qualcosa di analogo potrebbe accadere con una parte, si spera la più piccola possibile, di quanti finora hanno percepito il Reddito d’inclusione.
“Maggiori risorse, peggiori risposte”, si intitolava l’ultimo documento dell’Alleanza contro la povertà sul Rdc. Purtroppo man mano che si procede quel giudizio trova ulteriori conferme.

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