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Agenda 2030: Veneto con il passo di lumaca

Siamo in ritardo su tutti gli obiettivi

Siamo al giro di boa dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, ma per il segretario dell’Onu, António Guterres, proprio non ci siamo. Secondo l’Onu, infatti, solo per il 12 per cento degli obiettivi l’Italia è sulla buona strada per attuare il processo di sviluppo sostenibile entro la fine del decennio.

Il 19 ottobre 2023, al giro di boa dell’agenda firmata nel 2015 e che scade nel 2030, il rapporto di “Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile” (Asvis) 2023, denuncia il ritardo dell’Italia nel raggiungere gli impegni presi in sede Onu.

Ci sono serie difficoltà sul fronte ambientale: soffriamo di un’alta percentuale di perdite idriche, pari circa al 42 per cento; il fenomeno del degrado del suolo interessa il 17 per cento del territorio nazionale. Male sul fronte delle emissioni clima-alteranti: attualmente, le energie rinnovabili rappresentano solo il 19,2 per cento del totale energetico del Paese, un livello che impedisce di avviare il processo di decarbonizzazione. Il Paese necessita di consistenti investimenti nelle infrastrutture, per renderle tra l’altro più resilienti di fronte alla crisi climatica.

Su questi punti, che sono una parte dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030, anche il Veneto e le province di Treviso, Padova e Venezia segnano il passo.

La gestione dell’acqua. Obiettivo 6

Uno dei capitolo più delicati è quello dell’acqua: la gestione della risorsa appare ancora critica nella nostra regione. Le reti di distribuzione più efficienti di acqua potabile sono quelle di Verona, le meno quelle di Venezia e Belluno, tra i capoluoghi di provincia. La migliore era Pordenone, che nel 2022 perdeva “solo” il 10,3 per cento. Pessima la situazione di Belluno che, secondo l’Istat, perdeva il 70 per cento dell’acqua erogata.

Per stessa ammissione della Regione Veneto, perdiamo il 40 per cento dell’acqua erogata. In veste di commissario straordinario per gli interventi urgenti in materia di siccità, Luca Zaia, presidente del Veneto, ha proposto interventi per quasi un miliardo e 700 milioni di euro nel 2022, anche utilizzando il Pnrr.

Eppure, la materia prima, l’acqua, non manca. Alla fine, le precipitazioni sono arrivate. Ma qui il punto diventa un altro, la violenza dei fenomeni e la loro distribuzione: inverni siccitosi si sono aggiunti ad estati e primavere con pochissima pioggia: questo ha comportato una fortissima sofferenza del settore agricolo e dell’ecosistema in generale.

Non esiste ancora un sistema per trattenere le acque; il famoso piano “laghetti”, che prevede degli invasi importanti di contenimento dell’acqua per le stagioni siccitose, dopo l’ondata emotiva della primavera scorsa, stenta a decollare. Tratteniamo solo il 5 per cento dell’acqua piovana.

Il Piave resta sorvegliato speciale, si è rischiato per le forti piogge che si sono abbattute nel Bellunese e nella Pedemontana trevigiana, nella settimana iniziata lunedì 30 ottobre. Nella mattinata del 31, allo sbarramento del Piave di Nervesa, è transitata l’onda di piena con una portata di circa 1000 mc/s. Nulla di paragonabile al 1966 quando caddero 500 millimetri in 48 ore. Per avere un’idea, l’Emilia è stata devastata da una media di 300 millimetri in 48 ore. Intanto si continua a rinviare sulla grande cassa di espansione, che dovrebbe proteggere a valle, verso Noventa, San Donà ed Eraclea.

Il “rischio” Piave, il trasporto su rotaie, l’eccessivo consumo di suolo e l’inquinamento sono le principali emergenze del nostro territorio

Mobilità e infrastrutture. Obiettivo 11

Sul trasporto pubblico, il Veneto sconta la sconfitta patita sulla Sfmr, la metropolitana di superficie, e rincorre da tempo un sistema integrato “gomma ferro” per la mobilità dei cittadini. La “cura del ferro” (la realizzazione di nuovi binari ferroviari), che dovrebbe consentire una mobilità più sostenibile insieme alla produzione di veicoli meno inquinanti, continua a essere un pannicello caldo. Al contrario, sia pure con finanziamenti privati, si insiste sulla gomma: l’ultimo tema su cui ci si è concentrati è quello della “Strada del mare”, un’ulteriore arteria a pagamento, che in questo caso servirebbe a collegare Jesolo all’entroterra (vedi l’articolo a pagina 27 di questo numero).

La gomma “si mangia” anche i 54 milioni con cui quest’anno la Regione è andata in soccorso della Sis per il funzionamento della Superstrada pedemontana veneta, che si aggiungono all’esborso di 300 milioni fatto con l’accordo del 2017.

Gli investimenti nel settore trasporti pubblici, a quanto sembra, per il Veneto si limitano a una partita di giro di quello che arriva dallo Stato. Negli ultimi tre anni, sono stati messi 14 milioni sul trasporto ferroviario e 500 mila euro nel 2021 e 22 in quello su gomma, cifre molto ridotte rispetto ai 402 milioni che lo stato gira alle Regioni (il Veneto dovrebbe avere almeno 20 milioni).

La spesa per il servizio ferroviario è lo 0,19 contro lo 0,56 del Piemonte, l’1 della Lombardia e lo 0,93 dell’Emilia (anno 2021).

Il 51 per cento degli autobus in Veneto è euro 2 ed euro 3, quindi ancora molto inquinanti. Meglio per i treni, nel 2021. In Veneto, tra Padova e Montebelluna, sono stati acquistati convogli di nuova generazione. La frammentazione del trasporto locale ha come conseguenza la quasi impossibilità di realizzare il progetto del biglietto unico. Infine, resta da segnalare la situazione dell’alto Bellunese, dove i lavori di elettrificazione delle linee ferroviarie sono lenti e nessuna grande novità si annuncia per le Olimpiadi di Cortina 2026. L’Osservatorio nazionale sulle politiche per il trasporto pubblico locale aveva già inserito il Veneto al terzultimo posto tra le regioni con soli 9 milioni di risorse distribuite, nello stesso anno la Lombardia ha investito 770 milioni e il Lazio 600 milioni.

Consumo di suolo. Obiettivo 15

Altro tema sensibile è quello del consumo di suolo. Il suolo, insieme ad acqua ed aria, garantisce la vita e la sopravvivenza degli ecosistemi e della biodiversità. Il suolo filtra l’acqua, vengono stoccate e trasformate molte sostanze e soprattutto il carbonio che nel suolo trova il suo deposito naturale. Questa funzione viene annullata quando è ricoperto da qualcosa di artificiale. Il 2021 è stato un annus horribilis per l’Italia, perché, dopo la pausa per la pandemia, il consumo è ripreso a livelli che non si vedevano da dieci anni. In breve, si è arrivati a 2 metri quadrati “consumati” al secondo.

Il Veneto, che aveva battuto tutti i record e le altre regioni nel 2017, arrivando a quasi 1.200 ettari consumati all’anno, ora è rientrato nella media nazionale, ma con livelli che lo mettono al secondo posto dopo la Lombardia e prima dell’Emilia, con circa 600 ettari all’anno. Oggi la superficie regionale “coperta” è l’11,9 per cento del territorio. La relazione tra il consumo di suolo (+2% in Veneto negli ultimi 5 anni) e la diminuzione della popolazione (-0,4% in questo periodo) mostra lo scollamento tra la demografia e i processi di urbanizzazione e sono un sintomo della difficoltà a riconvertire gli edifici esistenti. Qui la discrasia con l’Agenda 2030 è forte, perché si dovrebbe “assicurare che il consumo di suolo non superi la crescita demografica”.

Là dove il consumo sia irreversibile si dovrebbe prevedere un recupero di altri obiettivi dell’Agenda 2030. Ad esempio Arpa Veneto, nel rapporto 2021, evidenzia “la realizzazione, solo nell’ultimo anno, di un totale di 115 ettari di nuovi parcheggi, questi potrebbero assorbire parte della domanda di superfici da destinare alla creazione per quasi un centinaio di megawatt di potenza di nuovi impianti fotovoltaici”. Nel Veneto, vince la non invidiabile classifica per il consumo di suolo Treviso, con 41.053 are, Padova al terzo posto e Venezia al quarto. Tutte si collocano tra le prime venti province in Italia per consumo di suolo.

Inquinamento dell’aria. Obiettivo 3

All’interno dell’Agenda 2030 l’Europa ha previsto Il pacchetto “Aria pulita”. Entro il 2030, grazie a esso si dovrebbero in Europa: prevenire 58 mila morti premature; salvare 123 mila kmq di ecosistemi dall’inquinamento da azoto; salvare 56 mila kmq di spazi protetti.

Se domani dovessimo applicare i limiti previsti dalla direttiva europea, in Italia dovremmo chiudere 72 città. In Veneto sarebbero Padova e Vicenza per le pm 2,5. Padova, in un solo anno, ha sforato più di 70 volte il limite di 50 microgrammi per metro cubo, ne sono consentiti al massimo 35. Dal 2 ottobre è scattato in Veneto il blocco auto, che in coincidenza con la stagione autunnale e invernale prevede il divieto di circolazione dei veicoli più inquinanti in base al livello di emissione di pm10. Pausa solo per il periodo natalizio, poi si riprende l’8 gennaio e fino al 30 aprile.

La centralina di via dei Lancieri a Treviso ha già superato per 41 volte i valori consentiti di pm10. Via Tagliamento a Mestre ha superato 39 volte, via Arcella a Padova 35 volte. Resiste la remota Pederobba, alle pendici del Grappa, che totalizza “solo” 31 sforamenti.

La Regione Veneto ha pianificato contributi per la sostituzione degli impianti di riscaldamento a biomassa legnosa, ora è scattato un bonus per la rottamazione di auto vecchie, che viene incontro sia a chi acquista macchine elettriche, che a chi acquista macchine che funzionano a ecocarburanti; una scelta non proprio condivisa dall’Europa. In salita invece la strada per provvedimenti che riguardino la creazione di zone a zero emissioni, di percorsi cittadini a 30 Km all’ora, l’elettrificazione autobus e sharing mobility (l’uso temporaneo di mezzi di trasporto, dalla bici al monopattino all’auto elettrica, in città, in modalità condivisa).

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