L’Indo-Pacifico e la Cina
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Nel corso della mattinata, che ha visto l’Amministrazione comunale consegnare una targa a don Francesco Pesce per l’opera meritoria del Centro della famiglia in questi 50 anni, uno spazio è stato riservato al “Cohousing Borgo Ponte Canale” (dalla zona in cui si trova) a Villorba, la cui nascita, dieci anni fa, e i cui obiettivi sono stati spiegati da due residenti, Michela Geretto e Valentina Tomio. L’iniziativa nasce all’interno di quella che allora si chiamava Fiera4Passi, con l’obiettivo di costruire una esperienza di vicinanza solidale tra famiglie e offrire spazi fisici cogestiti, ossia un parco e un edificio condominiale, per lavoro, feste e incontri. In questo spazio di 7.000 metri quadrati di superficie, precluso alle auto che restano fuori, vivono 8 famiglie, venti sono i giovani tra i 5 e i 21 anni, in case di proprietà senza recinzioni, e un edificio con spazi condivisi, di cui ogni famiglia è proprietaria per un ottavo. Un vicinato sociale, un desiderio di vivere in un contesto di apertura alle relazioni con gli altri è stato alla base di questa scelta, in cui ha contato anche la volontà di avere spazi verdi e di aggregazione vicini, potendo, insieme, abbattere i costi. “Avevamo tutti bambini piccoli - raccontano le due portavoce -. Siamo stati o lo siamo tuttora un sostegno, ad esempio , per portare i bambini a scuola. Quando tornano c’è una babysitter che li accoglie e dà loro da mangiare. Sostegno, quindi, alla genitorialità, alla coppia e al singolo che potrà sempre contare sugli altri abitanti del Borgo, ricavando tempi per sé”.
L’esperienza di cohousing è anche un’amplificazione delle esperienze, dove la passione e la manualità di uno, un hobby, diventano confronto culturale, possibilità di imparare e di applicarsi, liberamente.
Tutto bene e tutto liscio? Ovviamente no, perché sono state diverse le sfide da affrontare, i nodi da sciogliere nella cena delle relazioni che una volta si faceva ogni settimana e ora, almeno, una volta al mese. Incontro indispensabili per condividere le scelte nella modalità del confronto, con l’obiettivo di trovare una soluzione che faccia felice tutti.
Per i ragazzi, “è stata una grande palestra di fratellanza,, in cui hanno imparato ad avere adulti di riferimento oltre ai propri genitori, a rispettare le cose comuni, e hanno anche avuto la possibilità di stare sempre con gli amici, di non annoiarsi, di avere un posto sicuro tra persone che si vogliono bene”.
“In qualche modo - ribadiscono Geretto e Tomio -, l’esperienza supplisce a politiche familiari che faticano a sostenere le famiglie della complessità della vita, ad esempio, per quanto riguarda il lavoro femminile. Auspichiamo che con creatività e dialogo tra pubblico e privato nascano esperienze più evolute della nostra al passo con le necessità del vivere oggi”.
Un’esperienza in cui il vescovo Michele Tomasi ha rivisto lo schema del convento dei Camaldolesi, ad eccezione della Chiesa che qui non c’è.
E ha ringraziato per la testimonianza queste famiglie, che rappresentano oggi quello che è stato il nostro vissuto, ovvero la vita e la crescita attorno a un cortile. Dove si trova una rete con punti di riferimento, dove l’obiettivo è l’incontro e si aprono “finestre di infinito”.