venerdì, 25 aprile 2025
Meteo - Tutiempo.net

Sentenza Turetta: proviamo a fare un passo al di là dell’emotività

Distinguere tra efferatezza e crudeltà

È stata depositata nei giorni scorsi la motivazione della Sentenza della Corte d’assise di Venezia che ha condannato Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchetin. Ha fatto molto rumore sui social e sui giornali la decisione della Corte, a volte commentata in modo piuttosto sguaiato, di escludere l’aggravante della crudeltà. Il fatto è apparso a molti incomprensibile: pur non avendo inciso sull’entità finale della pena (Turetta è stato comunque condannato all’ergastolo) come è possibile non definire crudele un omicidio realizzato con più di 70 coltellate? I giudici sono, dunque, dalla parte del colpevole? Non riconoscono il dolore e l’orrore che quell’omicidio ha generato nei parenti di Giulia e nell’opinione pubblica?

La sentenza motiva la scelta di non riconoscere l’aggravante in quanto, secondo la giurisprudenza della Cassazione, la crudeltà si manifesta quando l’omicida volontariamente infligge alla vittima sofferenze ulteriori e immotivate, distinte e aggiuntive rispetto al mero proposito omicidiario. Tecnicamente: si ha crudeltà quando la condotta è “eccedente rispetto alla normalità causale”. Secondo la Corte di Venezia, Turetta ha colpito ripetutamente la povera Giulia per essere certo di ucciderla, tenuto conto che l’arma del delitto è stata un coltello e della sua “inesperienza” quale assassino, ma non per cagionarle sofferenze ulteriori. Certamente su questo punto si può e si potrà discutere, eventualmente, anche nei prossimi gradi di giudizio. Ma la circostanza ci può essere utile per riflettere sul ruolo del processo penale e sulle argomentazioni che debbono condurre, da parte di un Tribunale, ad affermare la colpevolezza di una persona. Il processo è un atto complesso, che deve condurre a una decisione di condanna o di assoluzione sulla base di regole tecnico- giuridiche ben precise e codificate, in modo da garantire il più possibile che la sentenza sia frutto di argomentazioni logiche, suffragate da prove, e prive da ogni condizionamento emotivo.

Il processo non può essere guidato dagli umori o addirittura dal senso comune. Certo, il dolore delle vittime va riconosciuto e rispettato, ma la giustizia non è spettacolo o sfogo. E, va anche ricordato, il processo non può nemmeno diventare solo un atto di empatia nei confronti delle vittime, ma deve essere un esercizio di razionalità e misura, fondato sulle evidenze probatorie e sulle garanzie.

La Corte di Venezia ha distinto tra atto efferato e atto crudele: per quanto abominevole sia stato il delitto commesso da Turetta, egli ha il diritto di esser giudicato secondo le regole, anche quando queste sembrano in contrasto con il senso comune. Ripetiamo: sulla decisione specifica si può discutere. Ma dobbiamo tenerci caro un sistema processuale che in questo caso ha saputo distinguere, selezionare, argomentare in modo pacato, per giungere, senza leggerezza o fretta, a una sentenza comunque severissima, come è giusto che sia di fronte all’orrore di quel delitto.

Tanto la verità mediatica è emotiva e immediata, tanto quella processuale è lenta, argomentativa, a volte tecnicamente vischiosa: ma è questo che distingue il processo dalla vendetta. E questo è una garanzia per tutti. E, anzi, sarebbe buona cosa che chi ha capacità di influenzare l’opinione pubblica (giornalisti, politici, influencer vari) ne tenesse conto.

SEGUICI
EDITORIALI
archivio notizie
10/04/2025

Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...

TREVISO
il territorio