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Insegniamo a gestire la rabbia

Intervista a Roberto Bellio, presidente del Centro educativo alle relazioni affettive di San Donà di Piave: “Se la vostra relazione non è in equilibrio, chiedete aiuto”
21/12/2023

Dal 2017 la fondazione Ferrioli Bo gestisce a San Donà di Piave il Centro Educativo Relazioni Affettive (C.E.R.A) con l’intento di rieducare soprattutto gli uomini che agiscono violenza all’interno delle relazioni. Ad oggi, questo è uno dei sette centri che si occupa di maltrattanti del Veneto. Abbiamo parlato delle attività che esso svolge con Roberto Bellio, presidente della fondazione e con la Dottoressa Elisa Gaetani, che fa conoscere nelle scuole del territorio la realtà di questo centro.

Cavalier Bellio, a San Donà è presente uno dei sette centri regionali che si occupano di uomini (e donne) violente. Com’è nato questo centro, ormai 7 anni fa? Che attività proponete?

Il centro nasce dall’esperienza acquisita dell’equipe del centro antiviolenza. Nel tempo si è notato che alcune donne, dopo essere tornate dai loro partner avuta in cambio promessa di cambiamento, ritornavano al centro perché questi, dopo un periodo in cui facevano fede alla promessa, agivano di nuovo violenza. Ci siamo resi conto che era insufficiente lavorare solo su chi subisce violenza, ma era necessario lavorare sui soggetti che agiscono violenza, sui soggetti maltrattanti. 7 anni fa, quando abbiamo cominciato queste attività, l’argomento era ancora un tabù e non c’era ancora legislazione in materia, che è venuta solo in seguito. Venivamo additati come quelli che volevano aiutare chi agiva violenza, ma in realtà vogliamo aiutare la collettività, spezzando questo circolo vizioso. Su questo argomento c’è ancora pochissima bibliografia in Italia: per questo motivo, per dare al centro una metodologia scientifica, abbiamo creato il centro assieme al prof. Giampiero Turchi, psicologo dell’università di Padova. I nostri utenti sono messi alla prova dall’autorità giudiziaria, che attraverso la legge 69/2019 ha stabilito che gli uomini che agiscono violenza, all’interno del circuito giudiziario debbano, sostenere questi corsi mentre scontano la pena. I nostri utenti seguono le attività del centro per un minimo di 60 ore l’anno. Qui, imparano a gestire la propria rabbia e riflettere sul perché loro agiscono violenza, facendoli riflettere sull’importanza del dialogo e del ragionamento con la propria partner.

È possibile tracciare un bilancio di questi primi cinque anni di attività? Quanti uomini state seguendo?

Attualmente 36 utenti stanno seguendo le attività del CERA (74 da quando il centro è stato aperto), mentre sono 500 le donne che aiutiamo ogni anno al centro “La Magnolia”. Di questi 36, solo uno ha interrotto il percorso. È efficace lavorare con coloro che agiscono violenza, affrontando il problema: se non si fa ciò, una volta che escono dal carcere torneranno a ripetere questi rapporti violenti. Ecco perché è fondamentale che il periodo della pena sia occasione di cambiamento nei rapporti affettivi. Non è farla franca una seconda volta, ma è modo per cambiare, per scongiurare la recidiva. Saranno così uomini capaci di gestire i rapporti in maniera diversa e non con la violenza. L’utilità dei centri non sta nel cancellare la pena, bensì contrastare la violenza lavorando sugli uomini che agiscono e poi sui giovani, non sostituendosi alla famiglia.

C’è qualche caratteristica che accomuna gli uomini e le donne che intraprendono questo percorso?

No. Gli uomini che agiscono violenza non vengono dai sobborghi oppure da ambienti familiari tossici, ma provengono da tutte le fasce sociali, sia a livello economico che culturale e di tutte le età. La gestione della rabbia e della possessività è trasversale a tutte le fasce economico culturale. Inoltre, non è vero lo stereotipo per cui se si vivono episodi di violenza in famiglia si sarà a propria volta violenti. A nostro parere, il problema riguarda una gestione del comportamento nei rapporti affettivi, soprattutto nel saper gestire le proprie emozioni e le sconfitte. Stiamo inoltre notando la paura che hanno molti uomini di perdere il ruolo all’interno della società, nella quale l’uomo è visto come figura predominante all’interno di un rapporto. Questo cambiamento spaventa e molti uomini non riescono ad accettarlo. Le donne hanno molto più potere nel passato, anche in posti di vertice appannaggio solo degli uomini, anche se non molte a dirla tutta. Gli uomini che vengono da noi non hanno spesso le capacità di analisi per vivere questi cambiamenti, che spaventano. Questa è la motivazione principale. Auspico per questo che ci sia un ritorno dell’educazione all’affettività all’interno della famiglia, come elemento di crescita fondamentale. Il ruolo del padre e della madre che insegnino a gestire le emozioni è fondamentale. La scuola può fare molto, ma non può sostituirsi alla famiglia. Non si può delegare questo ruolo alla rete, dove i ragazzi trovano risposte sbagliate alle loro domande. Dalla società sta passando il messaggio per cui non serve acculturarsi e studiare, ma è più facile farsi uno status attraverso modalità illecite, ma questo è un falso mito. Nella società cristiana, che pure presenta valori eccelsi come l’altruismo, l’argomento violenza domestica è stato forse minimizzato in quanto la tradizione ha portato a far sì che la donna avesse ruolo impari nella famiglia rispetto al capo famiglia uomo. In quante famiglie di nonni, la donna si relegava in casa? Trattare come una serva la donna era un ruolo che veniva dato anche dalla società cristiana, che la considerava l’angelo del focolare. Questa secondo me è una visione che ci portiamo dietro strutturalmente; quando viene messa in discussione, molti uomini restano spaventati. L’errore che può aver fatto la società cristiana è di aver tollerato questi atteggiamenti sbagliati. Speriamo che la storia di Giulia smuova gli uomini a mettersi in discussione, come ha detto Gino Cecchettin. Oggi ritrovo le nostre nonne di settant’anni fa nelle donne straniere, che fanno molta fatica ad emanciparsi: notiamo come alcune comunità non vogliono integrarsi e lo impediscono anche alle loro donne.

In qualità di presidente, c’è un messaggio che si sente di lanciare agli uomini e alle donne che vivono relazioni tossiche?

Anzitutto riconoscerle, che è difficile. Se avete il sentore che qualcosa nel rapporto non è in equilibrio, non affrontartelo solamente col vostro partner, ma rivolgetevi ai centri regionali che possono aiutarvi gratuitamente. Quello di Giulia Cecchettin purtroppo è stato un caso accademico, in cui tanti segnali sono sfuggiti: Giulia poteva solamente indirizzare Filippo da qualcuno che lo poteva aiutare. Nei rapporti affettivi se c’è qualcosa che non funziona bisogna farsi aiutare e parlarne con chi se ne occupa tutti i giorni e può suggerire soluzioni d’aiuto e di sostegno non solo a chi subisce queste violenze, ma anche chi le compie, aiutando ad elaborare le emozioni e la rabbia.

Quali sono le attività che proponete con le scuole?

Di questo abbiamo parlato con la dottoressa Elisa Gaetani, che organizza per conto del centro alcuni incontri con le scuole del territorio. “Vado spesso nelle terze medie”, ci racconta la dottoressa Gaetani. “La prima cosa che dico ai ragazzi è che se una relazione è sana se c’è equilibrio, ma se questo manca, la relazione è violenta, dal punto di vista fisico o psicologico. Allo stesso modo, faccio presente ai ragazzi che ci sono dei centri specifici, rintracciabili anche su Google, che sono in grado di aiutare coloro che si trovano in queste situazioni difficili gratuitamente: non c’è nulla di sbagliato nel chiedere. Ho molta fiducia nei ragazzi: sono la generazione più istruita della storia, ma devono sapere dell’esistenza e dell’utilità di questi servizi. Ho ricevuto feedback positivi dai ragazzi, molti dei quali mi hanno ringraziata per aver finalmente spiegato loro queste cose: le scuole non riescono sempre ad affrontare queste tematiche. Queste sono conquiste recenti, come la legislazione che ora l’Italia possiede, ma non sempre viene applicata. Tengo poi a dire che è interesse di tutta la comunità educare alle relazioni sane: oggi più che in passato abbiamo grande bisogno di figure, maschili e femminili, che sappiano trasmettere questi principi”.

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