Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Adozioni: frontiere chiuse in molti Paesi

L’anno in cui ho adottato la mia prima figlia, il 2011, è stato il secondo migliore di sempre per numero di adozioni internazionali: 3.154. Ben 4.022 bambini, considerando i fratelli e le sorelle, hanno trovato una mamma e un papà pronti ad accoglierli e a formare una famiglia. Nel 2014 sono volata in Cina per la mia seconda figlia; lei è una dei 2.206 minori adottati quell’anno, confermando per l’Italia, nonostante il calo che ha quasi dimezzato gli ingressi, la prima posizione in Europa e la seconda nel mondo dopo gli Stati Uniti per numero di adozioni internazionali. Nel 2024 i minori adottati sono stati 540, prevalentemente provenienti da Asia, poi Europa dell’Est, Sud America e infine Africa, e si è persino parlato di incremento del 13% sull’anno precedente. In tredici anni siamo passati da 3.154 a 540
adozioni. Come sempre, dietro ai numeri ci sono le storie, e ogni storia ha il suo bagaglio di fatiche, di emozioni e di vissuti tra dolore e speranza, abbandono e fiducia. Niente logica “win-win”, chi ha esperienza di adozione ci fa i conti tutti i giorni, non ci sono vincitori in questa partita della vita. Eppure, di fronte ai dati così impietosi, alcune domande nascono repentine: l’adozione internazionale ha ancora senso e possibilità? Come è accaduto (al netto del periodo pandemico) che il crollo si sia consumato così veloce oltre che, di fatto, silenzioso? Quali prospettive si aprono per il futuro? E, quindi, come leggere la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha aperto la possibilità alle persone singole di adottare un minore straniero residente all’estero?
Calano le adozioni ma non i minori abbandonati
“La situazione internazionale in questo momento è molto complessa – spiega Massimo Viaggi, presidente di Nova, associazione che da oltre 40 anni si occupa di adozioni e che ha una sua sede anche in Veneto, per anni a Maerne ora a Camponogara di Venezia -. I Paesi dell’Est Europa, in particolare Russia e Ucraina, che erano i principali da cui arrivavano molti bambini, ora hanno sospeso qualsiasi procedura a causa della guerra. La Cina ha chiuso, con una decisione del 2024 legata ai cambiamenti nella situazione demografica interna al Paese, in cui le nascite sono in calo da anni e la popolazione invecchia inesorabilmente. Il Sud America è un’area geografica stabile e consolidata per l’adozione internazionale, ma i minori che arrivano a questo circuito sono di solito «grandi», sopra gli otto anni, con numerosi fratelli o sorelle e, a volte, anche con problemi sanitari più e meno importanti”.
Motivi questi che spiegano il calo drastico dei numeri; temi che già in passato abbiamo affrontato nelle pagine di Vita e che tornano in modo preponderante nell’analisi di oggi, alla quale si aggiungono scenari internazionali di guerra e Paesi con grave instabilità interna che precludono qualsiasi possibilità di attivazione di percorsi adottivi. Tuttavia, nonostante questi dati di realtà, le coppie che hanno dato mandato a un ente autorizzato e sono già state destinate verso un Paese specifico, oggi sarebbero circa 1.880. Difficile dire se questi genitori riusciranno a concludere il percorso adottivo, e in quanti anni, ma già il fatto di sapere che esistono, che hanno accettato il rischio di aprire le porte di casa a un bambino che arriva da un mondo diverso, confermano che l’adozione internazionale può ancora essere un segno prezioso di accoglienza e speranza di fronte alla vita. Passeranno per una burocrazia a tratti inspiegabile, per liste d’attesa che sembrano non esaurirsi mai, per corsi e percorsi, con spese significative - dai 20 ai 40 mila euro – e poi accoglieranno bambini che devono a loro volta scegliere di diventare figli, che con l’abbandono faranno i conti, in un modo o nell’altro, tutta la vita.
“L’Italia ha sempre promosso accordi bilaterali – prosegue ancora Viaggi -, documenti internazionali, processi di cooperazione, in cui l’adozione era una delle possibili risposte al dramma dei minori in stato di abbandono. Questo prezioso lavoro diplomatico è una rete di protezione che si tesse a garanzia della tutela dei diritti dell’infanzia, e senza di esso si disperde un patrimonio di competenze e di solidarietà in cui il nostro Paese è sempre stato attivo”.
La realtà, poi, è, ancora una volta, più potente di tutto. Il fenomeno dell’abbandono dei minori nel mondo è diffusissimo, i bambini orfani nel mondo sono – almeno – 150 milioni. Almeno? Sì, perché la stima dell’Unicef, l’unica disponibile, risale al 2011 e da allora non ci sono elementi che fanno pensare alla possibilità di una riduzione.
L’apertura ai single, l’interesse del minore
E così, mentre gli enti cercano di proseguire nel loro delicato lavoro (fermo restando che hanno dipendenti da pagare e in questo calo generalizzato devono trovare dei modi per integrare le risorse necessarie alle attività) e le coppie arrivano all’adozione dopo anni di tentativi con le diverse tecniche di fecondazione assistita non andati a buon fine (con annessi e connessi di frustrazioni e fatiche), la Corte Costituzionale ha aperto alla possibilità di adottare alle persone singole. Nelle scorse settimane ha dichiarato illegittimo l’articolo 29-bis comma 1 della legge 184 del 1983 che regola nel nostro Paese affido e adozione, nella parte in cui non include le persone singole fra coloro che possono adottare un minore straniero residente all’estero. Giusto? Sbagliato? Per amore di cronaca va ribadito che questa apertura esisteva già, dal 2005, per casi particolari, in presenza di rapporti consolidati o con situazioni di disabilità. Tuttavia la recente sentenza della Corte porta a molte riflessioni.
Un primo aspetto da considerare è senza dubbio che questa decisione non si applicherà all’adozione nazionale, per il momento.
Un secondo, meramente tecnico, è che tanti Stati asiatici o africani accettano come candidati all’adozione solo coppie sposate e rifiutano in modo categorico di affidare i bambini ai single. Per terzo, va anche precisato che il diritto preminente, sempre, è quello del minore di essere accolto in un ambiente familiare stabile e armonioso. Paolo Limonta, presidente di Ciai, il primo ente italiano a occuparsi di adozione internazionale, ha in questo periodo più volte sottolineato come la sentenza evidenzia ancora una volta la necessità di modificare al più presto la legge italiana sull’adozione, affinché tenga conto delle trasformazioni sociali e familiari che hanno interessato anche il nostro Paese.
“Nelle scorse settimane abbiamo realizzato alcuni webinar informativi, con il solo scopo di spiegare la sentenza e cosa in questo momento è possibile fare per i singoli che decidono di chiedere il decreto di idoneità all’adozione internazionale – racconta Lorenza Persona, di Aibi, ente storico in Italia con una sede operativa anche a Mestre -. Ci ha colpito l’alto numero di partecipanti, l’interesse attorno a questa opportunità che andava ben oltre un vago sentire o una posizione ideologica. Abbiamo incontrato uomini e donne, interessati a comprendere, a formarsi, consapevoli, per quanto è possibile, della complessità dei percorsi adottivi in ambito internazionale”. Che poi, per pura ideologia non si adotta un bambino, perché la motivazione è un elemento fondamentale per percorrere la strada e quella da sola non basta nemmeno ad arrivare al primo break point.
Peraltro, il fatto che sia stata scritta la sentenza, non significa che i Tribunali e i servizi siano già preparati a darne seguito: i parametri con cui si “verifica” una coppia potranno solo in parte essere utilizzati per un single. L’esperienza è tutta ancora da scrivere, ma Aibi guarda con fiducia a questa opportunità, mettendo al centro il superiore interesse del minore e, dunque, il miglior abbinamento possibile in base alle sue caratteristiche. “Potrebbe anche accadere che questo tassello introdotto dalla Corte Costituzionale permetta uno slancio in avanti dell’adozione internazionale: sarà interessante conoscere le motivazioni profonde che spingono un singolo a questa decisione, e nella diversità scoprire forse nuove opportunità di accoglienza”.