Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Relazioni di qualità contro la "pandemic fatigue"
Si chiama “pandemic fatigue” ed è riconosciuta dall’Oms come la malattia di “affaticamento pandemico”. Non è stata inventata per il Covid, ma lo riguarda, perché è lo stato di logoramento psichico che si produce nelle persone a causa delle precauzioni e restrizioni imposte da una pandemia, per combatterla la strada passa sempre per ciò che nessun farmaco potrà mai dare: la relazione di qualità con sé, con gli altri, con l’Assoluto
Si chiama “pandemic fatigue” ed è riconosciuta dall’Oms come la malattia di “affaticamento pandemico”. Non è stata inventata per il Covid, ma lo riguarda, perché è lo stato di logoramento psichico che si produce nelle persone a causa delle precauzioni e restrizioni imposte da una pandemia.
La durata delle restrizioni produce tristezza in tutti, depressione in molti, e può avere come effetto boomerang l’abbandono delle precauzioni col rischio di contrarre proprio la malattia da cui si sta tentando di fuggire, generando ulteriori ondate.
L’ansia di perdere salute, relazioni, sopravvivenza economica e soprattutto tempo prezioso che non tornerà indietro, inducono nelle persone proprio questa situazione.
Oggi ha giustamente priorità il virus e chi sta combattendo per guarire. Non si presta però abbastanza attenzione alle persone che stanno sviluppando una profonda desolazione verso la vita, ammalandosi non nel corpo, ma nella mente.
Se è vero che la depressione non manda al collasso le terapie intensive, è anche vero che per essa un vaccino non esiste.
Un giorno tutto ciò che stiamo vivendo sarà un ricordo, magari da non dimenticare in fretta come toccò alla “spagnola”, che solo ora tutti sanno cosa è stata.
La storia, grazie a Dio, ci insegna che il virus passerà, come sono state superate altre pandemie con farmaci, strumenti e infrastrutture certamente inferiori a quelli odierni.
E’ bene però ricordare che, già prima della pandemia, un italiano su cinque prendeva regolarmente uno o più psicofarmaci.
Nulla togliendo alla necessità di questi medicinali nella cura di malattie serie e invalidanti, ciò significa che oltre dieci milioni di italiani assumevano sonniferi, ansiolitici e antidepressivi. Ora sono nettamente di più e sono anche più giovani.
Il mondo in cui viviamo è davvero caratterizzato dalla ricerca ossessiva della scorciatoia in tutto, dal fast-food, all’acquisto compulsivo online, alla pillola per tutto, pur di non cambiare stili di vita palesemente tossici.
Ed è purtroppo così che si sviluppa ogni genere di dipendenza, quando si cerca una soluzione effimera e immediata senza curarsi delle conseguenze, anche se ciò significa solo eliminare i sintomi a scapito della causa vera.
Quante persone hanno la reale necessità clinica e quante invece si affidano agli psicofarmaci in quanto soluzione ai problemi più veloce, anche se fittizia? E come non sviluppare sintomi di depressione e dipendenza che si stabilizzino oltre la pandemia?
La strada passa sempre per ciò che nessun farmaco potrà mai dare: la relazione di qualità con sé, con gli altri, con l’Assoluto.
E per cominciare, prima di ogni pillola, meglio uscire di casa ogni giorno e con qualsiasi tempo, non per assembrarsi al centro commerciale, ma per raggiungere il più vicino contatto con la natura.
E camminare, camminare, camminare - metafora potente della vita - senza auricolari e continue notifiche, ma guardando, ascoltando e respirando il creato, che sia un campo, il bosco, il mare, un tramonto, la pioggia, il cielo stellato.