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V Domenica del Tempo ordinario: Sconvolti da un incontro strabordante

Lo stupore di Pietro e degli altri “per la pesca che avevano fatto”

Il brano di questa domenica, rispetto a narrazioni simili in Marco e Giovanni (Mc 1,16-20; Gv 21,1-14), si distingue per la collocazione scelta dall’evangelista e per alcune sottolineature proprie.

Il pescatore sconvolto

Simone, che poi sarà chiamato «Simon Pietro» (v. 8), è insieme a Gesù il protagonista del racconto. Ha già incontrato la potenza della Parola di Gesù: in Luca la guarigione della «suocera di Simone» è posta prima di questo episodio (Lc 4,38-39), a rendere più verosimile la scelta di fidarsi di quella Parola. Pur nel suo obiettare alla richiesta di gettare di nuovo le reti in un tempo non favorevole alla pesca, egli riconosce Gesù come qualcuno che ha autorità, capace di una “parola efficace” (cf. Lc 4,32ss.). E accade qualcosa che lo sorprende profondamente: «Presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano».

E quelle reti che, letteralmente, «andavano rompendosi», spingono a coinvolgere altri, in tutta fretta, e le barche «rischiavano di affondare» sotto quel carico miracolosamente sovrabbondante. I pescatori sanno che quanto sta accadendo è ben oltre ogni loro esperienza di pesca, tanto che sono «invasi» dallo stupore.

Uno stupore che invade la vita

Ecco. Questo è il punto: uno stupore che “invade”, cioè che sconvolge Pietro, perché travolge l’autorità della sua lunga esperienza di pescatore.

E la risposta, d’impulso: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». L’evangelista riprende un’esperienza di grande impatto religioso ed emotivo, citata in Is 6,1-9: lì si narra come il profeta collochi nel tempio di Gerusalemme la propria «visione» del «Signore degli eserciti» che con la sua presenza strabordante riempie tutto lo spazio sacro. E il profeta sconvolto avverte la sua strutturale incapacità di stare all’altezza di quel volto, e si sente «perduto». Interverrà l’angelo a purificarne la voce, affinché possa rispondere alla chiamata di Dio.

Nel racconto dell’evangelista è espresso uno sconvolgimento simile. E il contesto in cui tale esperienza è collocata ha delle conseguenze esse stesse “sconvolgenti”. Non avviene nello “spazio sacro”, ma nel mezzo di una quotidiana giornata di lavoro, resa diversa dalle altre per la presenza di quel “maestro autorevole”, capace di guarire e di scacciare il male (Lc 4,31-41) che chiede a Simone di mettergli a disposizione la barca. Dal fornire vicino alla sponda un posto da cui «insegnare» la «parola di Dio», si passa «al largo», travolti da una pesca che rischia di far affondare. O meglio, da un incontro che stravolge la vita, di Simone e degli altri, al punto che «lasciarono tutto e lo seguirono» (v. 11).

Sentirsi radicalmente “indegni”

Simone reagisce accorgendosi d’improvviso di essere alla presenza di ben altro che un «maestro», pur «autorevole»: lo riconoscerà «Signore», è la prima volta che nel terzo Vangelo un uomo chiama così Gesù. Ne avverte l’abissale diversità, letteralmente la strabordante «santità», avverte di colpo anche la propria piccolezza e “indegnità”, la condizione di fragile peccatore che è propria di ciascuno e di ciascuna, incapace di stare davanti a una così sconcertante immensità. Nella barca stracolma di pesci, Simone vuol fare l’impossibile: si prostra davanti a Gesù e tenta di allontanarlo. È troppo grande per lui, è troppo rischioso stargli vicino, la propria vita ne verrebbe inevitabilmente stravolta.

La risposta di Gesù non è un’assoluzione dal peccato: sa bene quale timore “invadeva” Simone, e lo invita a non aver paura della propria condizione alla sua presenza. La fiducia in quel pescatore, che ha appena sconvolto, lo porta a sceglierlo per “pescare viventi”. E Simone risponde a tale fiducia, al compito proposto e alla promessa che nel compito è compresa: si lascia stravolgere l’esistenza, mette le sue capacità umane a servizio dell’annuncio del Regno di Dio.

Una fiducia che ci sconvolge

Questo brano è per me fra quelli che hanno segnato (e continuano a segnare) il mio cammino dietro al Signore Gesù. Fin dall’inizio di quella mia scelta, così fragile, di entrare a 19 anni in comunità vocazionale, e poi in altri momenti, prima dell’ordinazione e poi ancora, ha riproposto la forza di una presenza che, da un lato, sconvolge per la sua immensità e diversità, dall’altro, conquista per la sua infinita, non allontanabile, vicinanza, davvero «più intimo a me di me stesso» (Agostino). Sorpreso/invaso da uno stupore che una volta ancora mi rimette per via, dietro a lui, pur incerto e talora zoppicante. Fidandomi di lui che mi sconcerta con la sua fiducia, che continua a venirmi a incontrare in quel quotidiano che tende a sopire la passione per il suo Regno di salvezza... Sono convinto che nelle nostre comunità, nelle nostre quotidiane vite, tali incontri sovrabbondanti si ripropongano, nell’originalità di ciascuna e ciascuno, a ridare vita nuova alla relazione con colui che ci rende ancora una volta capaci, incredibilmente, di essere piccolo segno di salvezza per altri “viventi”.

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