Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
III Domenica del Tempo ordinario: Un profeta che sorprende ogni ascolto
Qual è il motivo per cui l’evangelista scrive questo Vangelo? Perché vuole offrire una storia che possa convincere della giustezza della propria scelta chi già è diventato cristiano, istruito sui fondamenti della fede e vive in un mondo di grande pluralità negli orientamenti religiosi e culturali. Per questo, si tratta di far emergere con evidenza dal “racconto” di quanto Dio ha fatto in Gesù che in lui Dio compie davvero le sue promesse per tutti coloro che accolgono la sua Parola, i suoi gesti di misericordia. Quanto il Vangelo secondo Luca narra è l’intervenire di Dio per portare a pienezza di vita ogni uomo e donna, a qualsiasi popolo appartengano (At 2,9-11). E’ vangelo che allarga il suo annuncio lieto ai confini dell’intera umanità (Lc 24,47). L’evangelista ha fatto suo l’atteggiamento che descrive in Maria: ha custodito nel proprio cuore gli avvenimenti della vita di Gesù, scoprendone il filo che li fa “storia di salvezza” (Lc 2,19).
Un compimento che supera ogni confine
In questa “storia di storie”, Gesù si presenta come colui che lo Spirito ha unto (=Cristo) «profeta potente in opere e parole» (Lc 24,19) che porta a compimento la Parola che salva i reietti, chi è considerato “fuori dalla grazia di Dio” (Lc 4,18). Tale compimento andrà oltre i ristretti orizzonti dei suoi compaesani, degli appartenenti al suo stesso popolo, il quale non viene rigettato da Dio, quanto piuttosto invitato a entrare in una storia di salvezza che coinvolge tutta l’umanità. Messaggio già annunciato dai grandi profeti di Israele, ma non accolto da un popolo che si ritiene “unico” eletto, avendo smarrito il dono e la responsabilità di essere benedizione per «tutte le famiglie della terra» (Gen 2,3).
Un “anno di grazia” che rischia il rifiuto
Gesù annuncia l’«anno di grazia», anno di giubileo che non prevede, però, «il giorno di vendetta del nostro Dio», come prosegue la citazione di Isaia (Is 61,2): Dio, infatti, fin da sempre apre la sua casa a «tutti i popoli» (Is 56,7). Già in Maria sua madre, la donna-profeta, Dio suscita l’annuncio delle «grandi cose» che egli fa per i “piccoli”, che riconoscono e accolgono «la sua misericordia» (Lc 1,46-55). In coerenza con quell’annuncio profetico, Gesù suo figlio afferma che Dio viene non per la distruzione dei malvagi, ma per la salvezza dei perduti. Qui, nel suo paese di origine, fra coloro che lo conoscono, l’annuncio che lui fa susciterà dapprima un’accoglienza perplessa (Lc 4,22), quindi un rifiuto sdegnato fino al tentativo di ucciderlo (Lc 4,28-29), perché egli non risponde alle loro attese, ma si dichiara inviato ad altri, a coloro che Dio sceglie quando il suo popolo lo rinnega.
In questo episodio, a Nazareth, l’evangelista sceglie di rappresentare tutta la vicenda di Gesù, inviato non a chi si crede giusto, ma «ai peccatori perché si convertano» (Lc 5,32), e che per questo finirà crocifisso. E’ il profeta che non annuncia quel che il popolo vuol sentire per confermare la convinzione del proprio superbo privilegio di eletti, ma sull’esempio di Elia, di Eliseo, si volge oltre i confini di Israele, alla vedova e al lebbroso stranieri, a tutti coloro che accolgono il suo ministero di misericordia. La misericordia di un padre che accoglie di nuovo in casa il figlio perduto, con la passione di un pastore che cerca la pecora smarrita, con la tenacia della donna che ritrova la moneta scomparsa (Lc 15).
Una salvezza per noi, oggi, ad aprirci
a speranza nuova
Quella parola di salvezza vuole compiersi «oggi, nei vostri orecchi» (Lc 4,21, traduzione letterale del versetto). Saranno capaci, gli orecchi del nostro cuore, di accogliere questa salvezza? Saremo capaci, come comunità cristiane, di riconoscere quello che «oggi» Dio viene a compiere delle sue promesse, ben oltre le nostre attese, mettendoci in grado di convertirci nello stile di vita, nel superare i pregiudizi verso chi, a nostro parere, quella salvezza non la merita? Siano appartenenti ad altri popoli, siano credenti di altre religioni... Nel superare anche le diffidenze verso chi porta uno sguardo altro sul Vangelo che pensiamo di conoscere bene, magari uno sguardo di donne che noi uomini così spesso nella Chiesa consideriamo non del tutto degne di autorevolezza, di ministerialità... Sapremo accogliere questo impulso potente e conturbante a uscire da chiusure paesane, per diventare comunità accoglienti dallo sguardo lungo, in grado di scorgere fin da lontano ciò che Dio va compiendo in altri cuori, altre storie, e rallegrarcene? Perché chi si lascia aprire la vita dall’annuncio di Gesù scopre nei propri giorni una fonte di gioia inattesa. Una gioia che rallegra i passi e l’esistenza intera, che motiva a testimonianza credibile, che rende capaci di costruire il Regno di Dio con tutti e tutte coloro i quali sperimentano «la speranza che non delude», la speranza di poter rinnovare il cuore, le relazioni, la propria storia. Già ora, nel giubileo che ci viene offerto, nel «pellegrinaggio di speranza» a cui siamo chiamati.