Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
In marcia per la pace
Il meteo non proprio favorevole non ha fermato le centinaia di persone che hanno voluto partecipare, oggi pomeriggio, domenica 26 gennaio, alla marcia diocesana per la pace, che quest’anno si è snodata lungo le strade e le piazze di Castelfranco Veneto, dove alla fine è spuntato anche il sole. Il ritrovo era alla fontana delle Case gialle di Borgo Padova, per i saluti e le prime testimonianze sul tema “La speranza è un cammino”.
Don Paolo Magoga, direttore dell’ufficio di “Pastorale sociale e del lavoro, giustizia, pace e salvaguardia del creato”, ha salutato i presenti ricordando che la marcia avrebbe percorso vie e piazze, arrivando in una scuola: “Tanti mondi che abitiamo, nei quali non solo passiamo, ma viviamo. Che il nostro sia un portare speranza, un credere alla pace, tra le case, tra comunità, a scuola, in Europa e nel mondo”.
A dare il benvenuto ai partecipanti, Antonella Maramarco, rappresentante dell’associazione “La fontana” e di Malak, giovane donna che ha raccontato il quartiere dove vive.
Il Vescovo Michele ha sottolineato che sono successe “tante cose di pace nel corso della storia dell’umanità attorno alle fonti. Purtroppo il controllo delle fonti d’acqua oggi è anche una delle cause di conflitti nel mondo. Siamo cittadini della nostra Italia, delle nostre città e del mondo. Siamo umani e vogliamo diventare sempre più umani – ha aggiunto il Vescovo -. E vogliamo che sia garantita l’umanità di ogni persona, in ogni luogo e situazione del mondo. E questo lo diciamo mettendoci in cammino per quelle strade che ci vedono vivere insieme”.
Il percorso è proseguito verso il duomo con la tappa “Sperare nel futuro”. Qui il saluto del sindaco Marcon e la testimonianza di Emanuela Guizzon, nipote di Tina Anselmi, una donna nata e vissuta nella città di Castelfranco, donna di fede, staffetta partigiana, parlamentare e ministro, una donna di speranza e di pace, che ha saputo leggere in modo profetico il proprio tempo, che ha creduto e sperato di poter costruire un futuro migliore e si è spesa per questo. “Era una donna gioiosa, zia Tina, perché ogni giorno sceglieva di impegnarsi al massimo per costruire la pace, e la pace l’aveva costruita soprattutto dentro di sé” ha raccontato la nipote. “Lei ha fatto la partigiana tutta la vita costruendo e basando la sua azione nella speranza certa che il suo impegno avrebbe portato a un risultato di pace per tutti”. “Il problema della pace esige che noi ci siamo, scegliere per un domani in cui la vita ci sia e sia degna dell’uomo” sono tra le ultime parole sulla pace che Tina Anselmi ha scritto e che la nipote ha ricordato: “La pace, come la democrazia, si costruisce ogni giorno”.
Importante, poi, la testimonianza di Amin, 21 anni, di origine marocchina, arrivato in Italia attraverso la rotta balcanica, che ha lasciato il Paese che amava, affrontando fatiche e pericoli, insieme al padre, per poter avere un futuro, una speranza di vita, che oggi si è concretizzata con una casa e un lavoro.
Nel suo saluto, il sindaco di Castelfranco, Stefano Marcon, ha confidato la propria speranza che la città di Castelfranco continui a essere accogliente e solidale, capace di crescere in modo armonico, nel rispetto delle regole, che aiutano a vivere in pace. “Il nostro è un paese libero dove è possibile coltivare i sogni, sorretti dalla speranza e accompagnati dalla perseveranza” ha detto Marcon. Il sindaco ha ringraziato Amin per la sua testimonianza di giovane impegnato a coltivare la speranza. “La foresta del bene cresce florida a Castelfranco, e in Italia tutta, perché ci sono ancora giovani che lavorano per realizzare i propri sogni e contribuire alla crescita armonica della società” ha aggiunto.
La seconda tappa è stata in Piazza Europa Unita sul tema “Generare la speranza”. Qui la testimonianza di due famiglie ha aiutato a capire come, nella quotidianità, possiamo generare la speranza: in famiglia, al lavoro, con i figli. Sul palco sono saliti Laura e Marco Canova e Sara e Denis Boateng, di origini ghanesi.
Entrambe le famiglie hanno parlato della propria quotidianità, fatta di gioie e fatiche, di impegni da incastrare e di tempi sempre più ristretti anche per vivere la quotidianità famigliare, ma “pace è avere il coraggio di dialogare, anche in maniera difficile, ma sincera, accogliendo l’altro e ciò che prova, con pazienza. Ai nostri figli – hanno sottolineato i coniugi Canova – cerchiamo anche di insegnare a litigare bene, mentre all’esterno cerchiamo di coltivare la gentilezza verso le persone, consapevoli che è un cammino che non facciamo da soli, ma il Signore è con noi”.
“Cerchiamo di coltivare un ambiente di dialogo aperto e sincero, dove ognuno si senta accolto e ascoltato – ha raccontato Denis Boateng, presentando la moglie e i tre figli -. Questo ci aiuta a coltivare fiducia e speranza. Ringraziamo sempre il Signore per le piccole cose di ogni giorno, trovando motivi di gioia anche nei momenti difficili, sapendo che ogni sfida può essere superata insieme. Cerchiamo di collaborare per la crescita comune, ci sopportiamo a vicenda. Da genitori cerchiamo di trasmettere ai nostri figli la fiducia nella bontà delle persone e l’importanza di un impegno costante. Ogni gesto di gentilezza può aiutare a costruire un mondo più pacifico. Vivere in armonia, aiutarsi e rispettarsi è la base della pace”.
All’arrivo nella palestra dell’istituto Nightingale, la terza tappa, “Ponti di pace e di speranza”, con l’ultima testimonianza, prima della messa presieduta dal vescovo Tomasi, e concelebrata da numerosi sacerdoti, alla quale ha partecipato un migliaio di persone. Una testimonianza arrivata da lontano, grazie a un video. E’ quella delle Piccole sorelle di Gesù (famiglia religiosa che vive la spiritualità di Charles De Foucauld) presenti a Gerusalemme: sorella Maria Chiara Ferrari, in Medio Oriente da 40 anni e sorella Katia Suriano, a Gerusalemme da 7 anni, che lavora in ospedale. “Dopo 15 mesi di guerra e tante parole sulla pace è come se le parole si fossero svuotate, ma in mezzo alla violenza incontriamo delle persone che testimoniano la pace vivendola. Sono loro la parola pace, per noi, oggi” hanno detto. Tra loro, un collega di sorella Katia, musulmano, che insegna ai suoi figli prima di tutto ad essere umani, perché questo ci unisce, al di là di ogni differenza. Una vicina, musulmana, che ha espresso il desiderio di andare a Gaza, ad aiutare le persone. Per scegliere di vivere la pace bisogna fare spazio alla sofferenza degli uni e degli altri. “Nel mio piccolo quotidiano ho il coraggio di accogliere ciascuno senza riserve, con benevolenza o i miei giudizi e le mie paure, sono dei muri interiori? Desidero la pace, la chiedo, ma tocca a me farla diventare realtà vivendola”. “La pace non può essere il risultato di una guerra o di una conquista che lascia solo morte e distruzione – la riflessione di sorella Maria Chiara -. Da qui sperimentiamo che la pace è un lungo cammino. Impariamo ogni giorno ad affidarci alla promessa di Gesù: “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, non come il mondo la dà a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate paura”.
Nell’omelia il vescovo Tomasi ha ricordato che essere popolo di Dio che è dentro il Giubileo e lo vive, significa “donare la propria vita per la realizzazione della pace, non toglierla. Significa impregnare di Parola di Dio le nostre relazioni quotidiane, il nostro impegno, il come ci accogliamo e ci perdoniamo”. “Se mettiamo energia di pace nel nostro mondo, questa energia trabocca, si diffonde, contagia e sarà più forte della notte. Apriamo gli occhi del cuore, per vedere la forza del Risorto”. Dal Vescovo, infine, l’appello alla solidarietà tra di noi, “a volerci bene, ad abbattere le barriere che ci separano e a vedere l’umano in ogni sguardo che incrociamo, in ogni incontro che facciamo, in ogni provocazione della storia, e allora il Signore farà di noi un germe vivo, un seme che magari nella terra deve ancora entrare, deve ancora morire, ma dal quale di sicuro la vita germoglierà, qui in terra e per l’eternità”.