Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
In strada con Sant’Egidio
Alle 19.30 di martedì sera, nell’oratorio della chiesa di San Martino Urbano, le persone sono indaffarate, ma vestite di quella calma che danno i gesti diventati abitudini: imbustare i pasti nei sacchetti (sono venti quelli pronti), tagliare fette di dolce, mettere a scaldare l’acqua per il tè. È il gruppo degli “adulti” della Comunità di Sant’Egidio, che si alterna a quello dei giovani (dai 18 ai 30 anni) che, invece, fanno il giro il venerdì: una cinquantina di persone in tutto. “Il giro” è il servizio “Amici di strada” e serve a portare i pasti ai senza fissa dimora della città, ma anche coperte e soprattutto qualche chiacchiera: perché è questo, dicono, che serve quasi più del pasto, quelle due parole in amicizia che li fa uscire da quell’ombra che li rende invisibili.
L’emergenza freddo
Una stanza dell’oratorio di San Martino nei giorni scorsi è stata messa a disposizione per la notte. La Comunità di Sant’Egidio lo fa quando la temperatura notturna va sotto gli zero gradi, com’è successo dal 13 al 18 gennaio, ed è probabile che ciò succederà di nuovo, per l’inizio di febbraio. Mostrano la sala ormai vuota dove, pochi giorni prima, 21 persone (comprese due donne, sistemate in una saletta appartata) hanno trovato conforto e calore per qualche notte. Tanti di quelli che si sono presentati non erano volti noti, e questo restituisce la dimensione del problema: nonostante ne conoscano molti, in strada ce ne sono ancora di più. I dormitori sono sempre pieni e le persone accolte ruotano ciclicamente; qui si dà priorità a chi ha un lavoro, perché sì, ci sono anche senza dimora che hanno un lavoro, ma non possono permettersi un affitto. Nell’ultimo periodo, si sta affinando il coordinamento con le altre associazioni, come ad esempio Caminantes, che sono operativi con “il giro” di giovedì: il lavoro da fare di certo non manca.
Un primo incontro
Alle 20 i volontari si raccolgono all’interno della chiesa di San Martino per condividere una liturgia; le porte sono (metaforicamente) aperte a chiunque voglia assistere. Alle 20.30 davanti all’oratorio sono già radunate alcune persone che non hanno voluto mancare l’appuntamento: sono giovani, meno giovani, italiani, stranieri; alcuni parlano poco, altri condividono molto. I volontari chiacchierano, chiedono di amici e conoscenti che non si sono presentati, ascoltano con attenzione mentre loro raccontano, con le mani a coppa attorno al bicchiere di cartone colmo di tè caldo. Si portano via il sacchetto, c’è chi lo chiede per qualcuno che non ha fatto in tempo ad arrivare. Dentro ci sono un primo, un secondo, un panino, un frutto, un dolce, una bottiglietta d’acqua e dei fazzoletti. Qualcuno chiede una coperta: l’emergenza freddo è formalmente rientrata, ma di certo non sono serate in cui riposare su un pavimento umido e freddo.
Il giro
Attorno alle 21, i volontari si dividono in gruppi per coprire i luoghi noti (stazione, Appiani, San Pelajo, dormitorio di via Pasubio, San Zeno...) dove ci sono “amici di vecchia data” e quelli nuovi perché arrivati attraverso le segnalazioni dei cittadini; sono tutti scritti in ordine su una lavagnetta all’interno dell’oratorio. Mauro, Manuela, Annamaria e Sulaf si dirigono in stazione a passo svelto, chiacchierando. Sono di età diverse e vengono da luoghi diversi, sono parte dell’associazione dai 10 anni (Mauro) ai 2 anni (Manuela), ma sono animati dall’incapacità di voltarsi dall’altra parte. “Penso che il cristiano si debba anche sporcare le mani, ascoltare la parola non basta” e “ho sentito dentro la necessità di sentirmi utile”, spiegano come fosse la cosa più naturale del mondo. Arrivati in stazione mostrano gli ex luoghi abituali, chiusi da delle grate più o meno dal periodo Covid, proprio per evitare che vi ci sostassero. Sulle panchine, in effetti, alcuni uomini li stanno aspettando. Si avvicina un ragazzo mai visto: scambiano qualche parola in inglese, lo fanno sorridere, la fronte, prima sempre un po’ aggrottata dalla tensione, si distende. Da quello che sembrava un cumulo di materiale inerte appoggiato su una panchina emerge un uomo, palesemente in stato di ebbrezza, ma che parla guardandoti negli occhi con uno sguardo fisso e serio, che fa paura da quanto mette a nudo. Non vuole il pasto. E, poi, si cammina, si attraversa la stazione in lungo e in largo, si arriva a San Zeno. Serata tranquilla, pare, ma non è cosa positiva: oggi non sono riusciti a raggiungere tante persone che avrebbero avuto bisogno di loro.
Vecchi e nuovi amici
Stranieri, italiani, quasi tutti uomini, ma anche qualche donna. E sempre di più negli ultimi anni: il Covid non ha aiutato, perché in quella situazione molte persone hanno perso il lavoro, e questo è uno dei principali motivi per cui una persona si trova senza un tetto sopra la testa. Poi, separazioni, problemi finanziari, uscite dal carcere senza alternative: la conseguenza di non avere una rete sociale solida, o di perderla. Se ne parla proprio attraversando via Roma, sulle teste ancora pendono le scintillanti scritte natalizie “solidarietà, gioia, condivisione”. Per quanto riguarda gli stranieri, che arrivano in buona parte dalla rotta balcanica, non solo non hanno niente, ma a volte vengono anche truffati e perdono il poco che hanno. In anni di servizio, i volontari ne hanno sentite parecchie, di storie “interessanti”. La volontà, la fiducia, l’energia si sbriciolano dinanzi alla durezza della vita in strada, dove è facile cadere preda dell’alcool. “Ma loro ci aspettano - spiegano i volontari - e noi arriviamo”.