venerdì, 22 novembre 2024
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XXXIV Domenica del Tempo ordinario: Quale regalità siamo chiamati a riconoscere?

Nella festività di Gesù Cristo, Re dell’universo, partecipiamo al suo “compito regale”

La festa che conclude il percorso dell’anno liturgico, mette al centro “Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo”: la meta del cammino è la pienezza dell’incontro con lui di tutta la realtà, riconoscendolo come colui che orienta a Dio l’universo intero. Il brano evangelico di questa domenica precisa in che senso egli sia “re”.

Il re testimone della “verità”. Non lo è secondo i criteri della politica di questo mondo, e neppure secondo le attese del suo popolo: il confronto con Pilato, rappresentante del potere romano in Palestina, porta subito alla luce questa diversità. A Pilato interessa verificare se l’accusa contro Gesù sveli una sua pretesa di attentare al potere di Roma. E Gesù, in un confronto alla pari con il rappresentante di tale potere, rivela, invece, la sua più vera identità. La sua regalità è di altro tipo, ha a che fare con il senso di tutta la sua vita, che è l’essere inviato per “dare testimonianza alla verità”, e offre a Pilato la possibilità di “ascoltare la sua voce”, di ascoltare questa testimonianza. Ma Pilato non accetta questa possibilità, chiudendo la questione con un interrogativo che ha generato infinite interpretazioni: “Che cos’è la verità?” (v. 38). Ne suggerisco una fra le tante, restando fedele allo scambio tra i due interlocutori: “Di quale verità stiamo parlando, visto che io ho già accertato la verità che mi interessava?”. Per Pilato è già evidente che Gesù non rappresenta una minaccia per quel che lui rappresenta (v. 38): non si lascia coinvolgere in una relazione che potrebbe invece interrogarlo in profondità, in quanto uomo.

Di quale “verità”? Ma facciamola anche noi, questa domanda, oggi: “Di che verità stai parlando, Gesù?”. In una “cultura occidentale” nella quale emerge un forte dubbio che esista una “verità universale”, valida per il mondo intero, che senso ha la pretesa di Gesù di essere “testimone della verità”? In un contesto culturale in cui il concetto di verità si riduce spesso (ed è già molto!) al “non dire falsità”, ovvero a non “raccontar bugie”, a non diffondere “fake news” nell’intento di falsificare il racconto degli avvenimenti, di che “verità” Gesù è testimone?

Ieri come oggi è la testimonianza della verità di Dio che fin dall’inizio si è manifestato in Colui che si è fatto carne, che è “pieno di grazia e di verità” in quanto è l’unico capace di essere presenza nel mondo, fra gli uomini, del volto autentico di Dio. E lo è perché fin da prima di ogni principio, è da sempre “rivolto presso il seno (le viscere, l’utero, il cuore) del Padre”, cioè ne fa da sempre esperienza. E questa esperienza è quella di una “prossimità piena di amore” nella quale egli stesso è il Figlio, l’Amato (Gv 1,14.18).

La “verità” del volto di Dio. La “verità” che Gesù manifesta è prima di tutto che Dio è Padre di misericordia e di amore oltre ogni immaginazione e possibilità umana: “Dio è amore” donato all’umanità e al mondo intero ben prima di ogni nostra risposta, amore che genera vita (1Gv 4,9-10). E questo si verifica in Gesù che dona l’intera sua vita perché noi l’abbiamo in pienezza (Gv 10,10; 3,16). È quindi una “verità” che ha a che fare con il nostro vivere, con il senso del nostro esserci in questo mondo. Si propone così come “verità fondamentale”, ovvero ciò su cui si può fondare il significato e la ragione del nostro vivere quotidiano, e il suo compimento ultimo. Non è una verità che opprime, ma una verità che libera (Gv 8,32): può dar respiro al nostro desiderio di vita, può dar sostegno al nostro fragile amare, può dar prospettiva a una speranza che si confronta con le tragedie della storia e delle nostre esistenze.

Il “re” che fa germogliare vita. Questo testo infatti, nel percorso di quest’anno liturgico, segue l’annuncio delle “grandi tribolazioni” che segnano ogni generazione umana (Mc 13,5-25). La testimonianza della vita di Gesù colloca all’interno di tali catastrofi un seme che dalla sua stessa morte germoglia per nuovo frutto (Gv 12,24). Ancora una volta è chiesta una scelta di fede: decidere di fermarsi ad ascoltare la “testimonianza” di Gesù, dandogli fiducia fin dentro un susseguirsi di fatti che lo porterà alla morte, e quindi al fallimento di ogni promessa di vita; scegliere di credere che quel Padre che è misericordia e amore per tutti i suoi figli e figlie vorrà e saprà far germogliare vita capace di pienezza fin nel profondo delle “tribolazioni” e delle morti in croce, di ieri, di oggi, di sempre.

Ma questa scelta di fede chiede di farsi gesti concreti nella nostra vita. Gli stessi gesti che sono stati condensati nell’ultima cena di Gesù con i suoi, quando li volle “amare fino alla fine” lavando loro i piedi (Gv 13,1-17). Lasciamoci anche noi “lavare i nostri passi” dall’amore di Dio, per diventare parte della vicenda pasquale di Gesù, capaci di “lavarli ai nostri prossimi”: piccolo segno di amore che continua, come possiamo, a “dare testimonianza alla verità”, alla verità del suo amore. Parteciperemo così al “compito regale” di Gesù, colui che è “re” nel “servire e dare la vita” per tutti e a tutti.

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