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VIII Domenica del Tempo ordinario: Seguirlo per condividere frutti di bene

A ciascuno di noi è chiesto di essere di reciproco aiuto nel far crescere relazioni autentiche

Dopo le scelte impegnative che sorgono dalla sconvolgente prospettiva delle beatitudini, la proposta evangelica continua, indicando alcune condizioni per proseguire il cammino con perseveranza e fedeltà.

Seguire il Maestro

Ancora una volta è proposta una scelta: seguire con fiducia lui, il Maestro, la guida, colui che solo può liberarci dalla pretesa di «condurre» da soli gli altri o noi stessi e dal rischio di farlo da «ciechi», fino a smarrire il sentiero precipitando nel «fosso». Continuare a lasciarci formare il cuore da lui ci rende capaci di seguirlo con sempre maggior autenticità e fedeltà, e di essere suoi collaboratori nell’indicare agli altri, con la vita innanzitutto, la via del Regno di Dio. Diventa, così, fondamentale non presumere di “vederci già chiaramente” al punto da correggere la visuale altrui, ma mantenere la sana consapevolezza di «travi» che possono distorcere il nostro modo di vedere la vita e le relazioni. E’ un processo di liberazione continua, come lo è stato per i primi discepoli, che si sono confrontati man mano con una vicenda, quella del loro Maestro, che si faceva sempre più sconcertante, un cammino sempre più impervio verso Gerusalemme, dove sarebbe stato condannato e crocifisso. Ma anche fino a “vedere” l’incredibile, il Crocifisso Risorto, accettando di lasciarsi liberare lo sguardo del cuore, un passo alla volta, sino a riconoscere la presenza di Dio fin sul cammino che fuggiva verso Emmaus...

Per generare “frutti buoni”

Questo atteggiamento di umiltà che sceglie di continuare ad imparare a discernere, a riconoscere quale sia il «tesoro» che val la pena di accumulare e custodire nel proprio «cuore», è ciò che permetterà di generare «frutti buoni», che condividono e fanno crescere il «bene», proprio e altrui. Fino a scavare «molto profondo» e a porre «le fondamenta» della propria casa «sulla roccia», come concluderà il brano evangelico in Lc 6,46-49. Fino cioè ad abitare un “luogo sicuro” rispetto ai turbamenti e agli sconvolgimenti che, comunque, investiranno la propria vita.

“Fare quello che lui ci dice” (Lc 6,46) diventa possibile se avremo scelto di fidarci del fatto che Dio davvero agisca a partire dai poveri, dagli affamati, dai feriti in lacrime; se avremo scelto di accogliere le conseguenze di questa prima decisione, e cioè “rispondere al male con il bene”; se ci saremo lasciati donare misericordia fino a diventare noi stessi misericordiosi, oltre pretese di giudicare e condannare; se ci saremo umilmente messi in cammino dietro a Gesù, lasciandoci continuamente liberare gli occhi e il cuore per vedere il bene che Dio semina e decidere di coltivarlo, custodirlo, condividerlo.

Chiamati come persone e come comunità

La chiamata è ancora personale e collettiva, per far crescere comunità in cammino: non individui isolati, ma persone in relazione, che delle relazioni sanno di dover prendersi cura, perché ne hanno bisogno per proseguire dietro al Maestro. Abbiamo, quindi, necessità di lasciarci liberare da presunzione di poter far da soli, o di esserci già collocati in “posizione sicura” rispetto alle tempeste e alle oscurità della storia in cui viviamo: vista la prospettiva annunciata dalle beatitudini e la conseguenza del “fare del bene a chi ci fa del male” tali pretese sono illusioni di chi non ha preso sul serio il percorso e le sue difficoltà. Due le condizioni per sfuggire a tali rischi: la prima, tornare continuamente a lasciarci provocare da lui, il Signore Gesù, che nell’annuncio della sua Parola e nell’incontro nell’Eucaristia e con chi è povero, affamato, in lacrime continua a donarci lo Spirito di conversione a vita nuova; la seconda, rivolgerci a una comunità in cui poterci reciprocamente sostenere ogni volta che ci sentiamo «affaticati e oppressi» da ciò che viviamo.

Segno di speranza per la “casa comune” di tutti

Ma c’è pure un’ulteriore chiamata in questo brano. Le indicazioni che vengono date riguardano tutti, sia chi ha il compito di “guidare” la comunità a intravedere più chiaramente l’appello di Dio nella vita, sia ciascuno e ciascuna nella responsabilità di un “tesoro” da “accumulare” perché porti frutto in bene comune di tutti. A ciascuna e ciascuno di noi, secondo il servizio che siamo chiamati a svolgere, è chiesto di essere di reciproco aiuto nel far crescere relazioni autentiche, capaci di valorizzare tutto il bene seminato nella ricca diversità dei nostri cuori. Questo perché la comunità stessa possa essere segno di speranza, di presenza del Regno di Dio, facendo crescere il bene di tutti a partire dai più dis-graziati. Nelle tenebre che si addensano sul vivere dell’umanità, è compito essenziale che ci viene affidato, ancora una volta insieme a tanti altri uomini e donne di buona volontà. Affinché la «casa comune» che è il mondo non sia travolta da forze che credono di poter volgere a proprio esclusivo favore ogni sconvolgimento, ma continui a cercare fondamenta nella cura di ciascuno e di tutti, come il Padre fa con noi.

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