venerdì, 25 aprile 2025
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Tornado: sempre più a rischio

Il prof. Bagaglini, che ha condotto una ricerca per il cnr, lo conferma: sempre più ci sono le condizioni perché si ripetano eventi "storici", come quello di Selva nel 1930, o più recenti, come quelli di Vallà e della Riviera

Prima un caldo anomalo alla fine di giugno, temperatura oltre i 30 gradi, poi temporali devastanti che hanno sconvolto raccolti e distrutto auto. Tutto faceva pensare che arrivassero anche i tornado di livello 3 o 4, come era già successo nel 2009 a Vallà di Riese, e nel 2015 a Mira. Invece finora è andata abbastanza bene e allo stato delle conoscenze sembra proprio un colpo di fortuna.

La principale condizione per il formarsi dei tornado, con venti oltre i 300 chilometri orari, in grado di distruggere qualunque cosa e anche di uccidere, era più che presente, e ci riferiamo soprattutto al surriscaldamento del bacino del Mediterraneo: fiumi, laghi e mare del Veneto stavano caricando l’atmosfera di tutta l’energia necessaria per scatenare questi terribili eventi, imprevedibili ed esiziali.

“La genesi dei tornado è generalmente associata a forti anomalie in alcuni parametri meteorologici, che differiscono tra le varie macroregioni, con valori più elevati negli eventi del Sud Italia”, spiega il dottor Leonardo Bagaglini che lo scorso marzo ha pubblicato, assieme a Mario Marcello Miglietta, per conto del Cnr, uno studio sulle trombe d’aria.
Prosegue il docente: “Abbiamo analizzato le condizioni ambientali associate allo sviluppo di trombe d’aria in Italia negli ultimi 20 anni. Isolando i casi più rilevanti, e raggruppandoli in famiglie regionali, abbiamo potuto identificare alcune particolari configurazioni atmosferiche che favoriscono la formazione di questi eventi”.

Il vostro studio evidenzia alcune differenze in Italia.
Le trombe d’aria meridionali, generalmente, si sviluppano in autunno e d’estate, e hanno origine da trombe marine che si spostano sulla terraferma. Sono innescate dal rapido transito di una massa d’aria di origine africana, molto calda e umida (che favorisce condizioni di spiccata instabilità), caratterizzata da una forte rotazione del vento in quota, elemento necessario per lo sviluppo degli eventi più intensi. Le trombe d’aria nel Nord Italia si verificano per lo più in tarda primavera e in estate; in questi casi, l’instabilità si innesca principalmente per l’arrivo di aria più fresca proveniente da Nord sopra l’aria calda e ricca di umidità che persiste nei bassi strati durante la stagione estiva.

Dottor Bagaglini, il Veneto presenta una certa frequenza di tornado. Oltre alla tromba d’aria della Riviera del Brenta del luglio 2015, tra gli eventi più intensi e distruttivi si ricordano il tornado del 1930, classificato come F5, che distrusse la chiesa di Selva del Montello, nel Trevigiano; la tromba d’aria di Venezia del 1970 portò morte e distruzione. Altri recenti fenomeni significativi sono stati osservati ad Albignasego (Padova), il 6 luglio 2008 e a Riese Pio X (Treviso) il 6 giugno 2009, entrambi classificati come F3.
Noi lo abbiamo puntualmente rilevato. Tenga conto che ci sono molti fiumi di grande portata, c’è una laguna e ci sono laghi, oltre che il mare, se quest’acqua evapora in modo consistente e rapidamente, inevitabilmente provoca moti ascensionali e carica le nubi, condizioni fondamentali per il generarsi dei tornado.

Dunque, siamo a rischio?
Noi ci siamo limitati nello studio a censire gli eventi. Ribadisco, però, che nel Veneto si possono facilmente creare le condizioni per moti vorticosi in verticale e, in particolari condizioni, anche moti orizzontali: ad esempio “sbattendo” contro le rugosità del terreno i vortici si complicano e destabilizzano ancora di più l’atmosfera. Nel Veneto, negli ultimi anni, si sono verificati due tornado sull’altopiano di Asiago. Certo, il Piave rende la provincia di Treviso sensibile a questi eventi, ma è il Veneziano il territorio più esposto al rischio, i tornado si generano in mare e nei rari casi in cui non si esauriscono lì, colpiscono con forza le coste: memorabile il sollevamento di un intero vaporetto, 200 tonnellate, a Sant’Elena, a Venezia durante un tornado, lo stesso che distrusse il campeggio di Ca’ Savio l’11 settembre del 1970: il tornado della morte, 36 vittime e 500 feriti.

Esiste un collegamento tra questi fenomeni e il riscaldamento globale?
Difficile dirlo in termini scientifici. I tornado sono fenomeni elusivi, che se non fanno danni alle persone o alle cose vengono trascurati, nessuno se ne accorge, nessuno segnala. Di certo, il riscaldamento della terra ha fatto aumentare il vapore e quindi l’energia presente nel bacino del Mediterraneo. Questa condizione, ce lo dice la fisica, favorisce i tornado, ma, non avendo sufficienti informazioni e serie storiche precise, non possiamo affermarlo con sicurezza.

Nel Veneto siamo colpiti con sempre maggiore frequenza dalla cosiddette “bombe d’acqua”. C’è differenza rispetto ai tornado?
La bomba d’acqua non è esattamente una definizione scientifica. E’ una nuvola che scarica a terra l’acqua che si è accumulata in aria e lo fa in maniera violenta, improvvisa e molto localizzata. Il tornado interessa i venti, ma lo spostamento di grandi masse di vapore e d’acqua, che improvvisamente si riversano a terra, oppure il formarsi di ghiaccio in atmosfera sono fattori che favoriscono le trombe d’aria, o i moti vorticosi. Il tornado resta un evento fortemente localizzato, qualche chilometro, al contrario dei temporali che possono avere un fronte di una decina di chilometri.

Per questa ragione i tornado sono anche poco visibili e poco prevedibili?
Grazie alle osservazioni satellitari, siamo in grado di vedere il fronte temporalesco e lo spostarsi di masse d’aria. Possiamo prevedere con un certo anticipo i rischi e dare adeguati allarmi. Non è così per i tornado che sono più sporadici, nascosti, di potenza ed evidenza molto varia. Così capita che si abbiano informazioni sui tornado solo dopo l’evento, attraverso dei filmati amatoriali.

Quindi facciamo fatica a difenderci?
Uno dei segnali premonitori è il formarsi di mesocicloni. Si tratta di un vortice d’aria atmosferico, con un diametro che varia dai 3 ai 16 chilometri, posizionato all’interno di un temporale nato dai moti convettivi dell’aria calda. L’aria si alza e ruota attorno a un asse verticale, di solito nella stessa direzione. Nel mesociclone sussistono elevate possibilità di formazione di un tornado.

Abbiamo una rete in Italia che ci può avvisare dell’arrivo di un tornado?
Per ora si può fare poco. In Nordamerica hanno sviluppato dei sistemi di preallarme, basati sull’esperienza. Il fattore fondamentale è rappresentato dalla stagionalità, aiuta l’utilizzo di radar meteorologici a polarizzazione che producono un segnale caratteristico in caso di mesociclone e sono in grado di percepire i moti d’aria dentro le nubi: si individuano, così, le masse d’aria che ruotano dentro le nubi e in cui si possono generare dei tornado. Sono sempre segnali indiretti, difficile avere dati precisi.

Il Veneto risulta una delle zone più a rischio per i tornado di classe 3, mentre la costa ionica della Puglia è la più esposta a tornado di tipo 4.
Ricordo il tornado di Taranto che sconvolse anche lo stabilimento Ilva e si ebbero dei morti. La pianura padana esposta al mare offre condizioni favorevoli al formarsi di tornado, che invece sono poco frequenti o del tutto assenti sulle Alpi. La masse d’aria calda che passano sul mare in prossimità della costa si scontrano con la “rugosità” del terreno e si generano vortici non solo verticali, ma anche orizzontali. Le ondate di calore a cui con sempre maggior frequenza siamo sottoposti, creano quelle condizioni ricorrenti per il formarsi di tornado. I venti sono fortissimi e, come abbiamo visto proprio nel Veneto, a Treviso e Venezia, in grado di abbattere muri e far letteralmente volare tetti.

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