Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Rovinare l'assistenza che funziona: il caso Home Care Premium dell’Inps
Alimentato con fondi provenienti dalle paghe dei lavoratori pubblici, assiste oggi 19 mila persone non autosufficienti in Italia con una spesa di 120 milioni annui. Ma il futuro è nero: in fretta e furia l’Inps cambia le regole, servizio dimezzato e assistenza ridotta. E obbliga a firmare entro il 31 dicembre

Come rompere un giocattolo che funziona bene. Questa è la storia di un’eccellenza della pubblica amministrazione italiana, un programma di welfare integrativo aziendale gestito inizialmente dall’Inpdap e ora dall’Inps per i lavoratori pubblici, che – fra i vari benefici - permette in questo momento a quasi 19 mila persone non autosufficienti in tutta Italia di usufruire di un ottimo servizio di assistenza domiciliare socio-sanitaria.
L’iniziativa – partita per la prima volta nel 2010 e nota come “Home Care Premium”– sta però andando verso un radicale ridimensionamento: dalla fine di febbraio 2015 in poi (data di scadenza del biennio attualmente in corso), il servizio continuerà ma con regole diverse. L’Inps infatti, ritornando sui suoi stessi passi e annullando tutta una serie di determinazioni prese nel corso del 2014 – le quali prevedevano nero su bianco addirittura un’estensione e un rafforzamento del progetto, con il raddoppio delle risorse e degli utenti - ha predisposto per il futuro una nuova convenzione con gli Ambiti territoriali sociali (i raggruppamenti di comuni che rappresentano l’entità di riferimento sul territorio) che di fatto porterà ad un taglio netto del numero dei beneficiari complessivi, che si ridurranno a seconda delle zone fra il 40% e il 50%.
Non solo: vengono anche cambiati radicalmente i parametri di riferimento (aumentando la soglia di accesso e riducendo il beneficio), non viene prevista alcuna continuità assistenziale per chi oggi usufruisce del servizio, viene ridotta a massimo nove mesi (dagli attuali 12 o 16) la durata dei progetti di assistenza. Infine, come ciliegina sulla torta, si danno ai singoli Ambiti territoriali appena 12 giorni di tempo (con in mezzo tutte le vacanze di Natale) per aderire formalmente all’accordo con l’Inps, condizione indispensabile per poter partecipare al progetto: la relativa comunicazione dell’Inps (peraltro secondo gli addetti ai lavori contraddittoria in più punti) è stata trasmessa infatti agli Ambiti territoriali il 18 dicembre scorso e dà tempo fino al 31 dicembre per aderire.
Tutto di corsa, tutto in silenzio, tutto quasi di soppiatto. Il modo migliore per impedire una partecipazione larga. Come dire: ti dimezzo il beneficio e ti faccio anche penare per averlo. E così, in questi giorni e in queste ore in tutta Italia è un fiorire di convocazioni straordinarie degli Ambiti (sono 393) per aderire in extremis all’accordo e prendersi almeno quel poco che passa il convento, anche se è molto meno di ciò che finora è stato garantito.
Qualcuno potrebbe dire: si sa, c’è la crisi, la coperta è corta, anche l’Inps deve risparmiare e i tagli sono inevitabili. E no, non è esattamente così. Perché i soldi per “Home Care Premium” vengono pescati da un fondo, “Credito e Welfare”, che al momento pare essere l’unico in attivo dell’ex gestione Inpdap, con dentro qualcosa come 600 milioni di euro. In ogni caso sono soldi che arrivano direttamente dalle tasche dei dipendenti pubblici: quelli in servizio (sono circa 3,2 milioni) subiscono in busta paga una trattenuta dello 0,35% della retribuzione lorda, quelli in pensione (sono 2,1 milioni) si vedono trattenere lo 0,15%. Trattenute, beninteso, che sono obbligatorie e aggiuntive rispetto alle ordinarie ritenute fiscali e previdenziali. Insomma, non si sfugge.
In pratica si tratta di soldi dei dipendenti pubblici che vengono utilizzati per interventi socio-assistenziali a favore degli stessi dipendenti e dei loro familiari (5 milioni di famiglie, un bacino totale di circa 14 milioni di persone). Non c’è solo l’assistenza domiciliare ai non autosufficienti, ma un variegato ambito di intervento: si va dalle borse di studio previste per i figli alle scuole medie, superiori o università, fino ai corsi di aggiornamento professionale, i tirocini formativi all’estero, la concessione di mutui ipotecari e di prestiti pluriennali, l’assistenza ai non autosufficienti. Un welfare integrativo completamente autofinanziato, che sviluppa un giro d’affari di 2,2 miliardi l’anno, che è completamente a costo zero per le casse dello Stato e che per di più ha anche alcuni benefici effetti collaterali, come quello di abituare la popolazione all’utilizzo dei voucher o di incentivare la regolarizzazione del lavoro dei badanti.
“Home Care Premium” in particolare ha una forma di intervento mista: da un lato la concessione di contributi economici alla famiglia per pagare i caregivers (familiari o badanti), dall’altro l’ottenimento di prestazioni integrative e complementari erogate dall’Ambito territoriale sociale (operatori socio-assistenziali, centro diurno, servizi di accompagnamento e trasporto, consegna pasti a domicilio, percorsi di integrazione scolastica o di inserimento lavorativo, servizi alla persona come parrucchiere, podologo e simili). La spesa complessiva dell'ultimo anno è stata di circa 120 milioni di euro annui. Funziona talmente bene che è diventato un caso di studio anche a livello europeo, indicato come modello di riferimento per la costruzione dei nuovi piani assistenziali locali primari. Oggi, come detto, in tutta Italia ne usufruiscono in 19 mila ma molti di loro ancora non sanno che dal 1° marzo 2015 cambierà tutto, che l’aiuto diminuirà drasticamente e che anzi per la gran parte dei beneficiari attuali potrebbe proprio sparire del tutto. L’Inps ha deciso così. Il vento è girato, e nonostante interrogazioni parlamentari e richieste di spiegazioni, ancora non si capisce bene il perché.