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Autonomia, l’altolà della Corte costituzionale su vari punti della legge

Secondo Stefano Ceccanti, già parlamentare e docente di Diritto costituzionale all’università La Sapienza di Roma, la Corte afferma: “Autonomia, sì, ma decisamente non così”. Essa “non adotta la linea estrema di ritenere l’autonomia differenziata come di per sé incostituzionale, come se l’articolo 116.3 violasse i princìpi supremi (era una delle tesi in campo), però obiettivamente scardina alcune, non poche, delle modalità più discusse con cui quella legge lo aveva interpretato”
15/11/2024

La Corte costituzionale ha ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo. Lo si legge in un comunicato della Suprema corte, in attesa del testo dettagliato della sentenza. In pratica, non viene bocciata la legge nella sua totalità. Ma viene ravvisata l’incostituzionalità di alcuni punti particolarmente importanti della legge. Compito del Parlamento porvi rimedio, con un inevitabile allungamento dei tempi.

“Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana – si legge nel comunicato -. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio”.I Giudici ritengono che “la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”.

I punti ritenuti incostituzionali

La Corte, “nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge: la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà; il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento; la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP; il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP; la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni; la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica; l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”.

Il costituzionalista Ceccanti: “Autonomia sì, ma non così”

Secondo Stefano Ceccanti, già parlamentare e docente di Diritto costituzionale all’università La Sapienza di Roma, la Corte afferma: “Autonomia, sì, ma decisamente non così”. Essa “non adotta la linea estrema di ritenere l’autonomia differenziata come di per sé incostituzionale, come se l’articolo 116.3 violasse i princìpi supremi (era una delle tesi in campo), però obiettivamente scardina alcune, non poche, delle modalità più discusse con cui quella legge lo aveva interpretato”. Inoltre, “nel rapporto centro-periferia non si può pesare a trasferimenti in blocco che scardinerebbero l’equilibrio solidale, ma solo mirati, in quello Governo-Parlamento a preservare il secondo evitando che deleghe generiche o fonti secondarie ne svuotino il ruolo. Non si può insomma, ad esempio, richiedere in blocco 23 materie, non è coerente con l’assetto complessivo della forma di Stato”. In merito ai referendum abrogativi, sui quali sono state raccolte le firme, in attesa di una lettura attenta della sentenza, “si potrebbe pensare che i quesiti siano superati e che non si debba votare su di essi. Ma bisogna veder la sentenza definitiva, in particolare per le parti dove vengono formulate interpretazioni per rendere costituzionale il testo”.

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