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In Toscana approvato il suicidio assistito
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Passa la legge sul suicidio assistito. Il Consiglio regionale della Toscana ha approvato, martedì scorso, a larga maggioranza la proposta di legge di iniziativa popolare sul fine vita “Liberi subito”, promossa dall’associazione Luca Coscioni e supportata da oltre 10 mila firme. Con questo voto, la Toscana è la prima Regione italiana a introdurre una regolamentazione sulla procedura con la quale le persone che vogliono accedere al suicidio assistito possono far domanda all’Asl, e su tempi e modalità di risposta della commissione preposta a verificare la sussistenza dei requisiti fissati dalla Consulta, affinché l’aiuto al suicidio non costituisca reato. La legge approvata oggi mantiene il principio della morte assistita come “erogazione di una prestazione sanitaria suddivisa in più fasi” (preambolo), ma alla fine si traduce in uno sterile percorso su come morire tramite suicidio medicalmente assistito. Secondo quanto stabilito dalla legge, i tempi sono ben chiari. Si parte con una verifica di 20 giorni sui requisiti per accedere al suicidio assistito; altri quattro per permettere alla Asl competente di convocare la Commissione chiamata a valutare l’istanza; altri otto affinché la commissione stessa invii la sua relazione al Comitato etico territoriale, il quale avrà cinque giorni di tempo per trasmettere il suo parere alla Asl e entro tre giorni dovrà comunicare al malato il contenuto del provvedimento di verifica dei requisiti. Infine, altri sette giorni sono stabiliti per “l’accesso al percorso finalizzato all’autosomministrazione” del farmaco per morire. Insomma, dalla richiesta di morire alla morte dovranno passare non più di 47 giorni. Resta aperta la questione costi. Secondo il provvedimento “le prestazioni e i trattamenti” sono “gratuiti”.
“Non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti”, il commento del cardinale Paolo Augusto Lojudice, vescovo di Siena e presidente della Conferenza episcopale toscana. “Prendiamo atto della scelta fatta dal Consiglio regionale - esordisce il presule -, ma questo non limiterà la nostra azione a favore della vita, sempre e comunque. Ai cappellani negli ospedali, alle religiose, ai religiosi e ai volontari che operano negli hospice e in tutti quei luoghi dove ogni giorno ci si confronta con la malattia, il dolore e la morte dico di non arrendersi e di continuare ad essere portatori di speranza, di vita. Nonostante tutto”. Sancire con una legge regionale il diritto alla morte, conclude Lojudice, “non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti”.
Afferma don Massimo Angelelli, direttore nazionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana: “Quando una persona è assistita in maniera adeguata, con un efficace percorso di palliazione, possibilmente a domicilio, non chiede di morire”. Per questo “la risposta migliore che possiamo dare alla sofferenza di queste persone è aiutarle non a morire, bensì a vivere senza dolore e con dignità. Senza dolore grazie alle cure palliative, e con la dignità degli affetti e delle relazioni. Dai nostri 25 hospice ci torna la testimonianza unanime che, se accompagnate in maniera adeguata, le persone non chiedono mai di morire”.