Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Il dilemma delle trivelle per l'estrazione del gas nel Mar Adriatico
E' intenzione del Governo italiano riprendere ad estrarre il gas nel mar Adriatico, per diminuire la nostra storica dipendenza dalle importazioni dall'estero. Ma davvero conviene? I dubbi sulla tempistica, sui costi ambientali, sui rischi in generale. La scelta definitiva sarà squisitamente politica.

Continuiamo a non saper decidere sulle fonti energetiche. Adesso, dopo un sanguinoso e dispendioso referendum sulle “trivelle”, il Governo, nuovo di zecca, oppone ai gasdotti siberiani e ai rigassificatori del gas americano le trivelle italiane, ovvero risponde con le fionde ai colpi di mortaio. Il ragionamento, sulla carta, fila: perché importare gas, quando lo possiamo tirar fuori dal nostro sottosuolo? Del resto, lo faceva l’Eni di Enrico Mattei, e sotto la Basilicata e nelle profondità marine dell’Adriatico e del Tirreno ce n’è una certa quantità.
Il titolare del ministero delle Imprese, Adolfo Urso, ha dichiarato: “L’estrazione di gas nell’Adriatico può raddoppiare non con nuove trivellazioni. Si può raddoppiare utilizzando i giacimenti attuali. Averci rinunciato ha aumentato la dipendenza dal gas russo, che ha sostituito la minore estrazione in Adriatico. Poi si può trivellare di più per ricavare almeno altri 70 miliardi di metri cubi di gas, anche di più, perché la tecnologia non è quella di 20 anni fa”.
L’ipotesi era già partita con il ministro alla Transizione ecologica del Governo Draghi, Roberto Cingolani, che con il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, Pitesai, individuava le aree per la ricerca e l’estrazione del gas.
Il Governo ha precisato che tutto deve avvenire sotto il 45° parallelo, quindi lontano da Venezia, con l’unica eccezione del ramo di Goro del fiume Po. Non è bastata, però, questa dichiarazione a tranquillizzare le popolazioni dell’alto Adriatico e il presidente del Veneto, Luca Zaia. Tutti ancora ricordano il fenomeno della subsidenza, a cui negli anni ’50 e ’60 dette un notevole contributo il pompaggio d’acqua dalle falde e forse, ma in misura minore, l’uso delle trivelle per il gas.
Ma quali sono i dati tecnici e scientifici che abbiamo a disposizione? In Italia sappiano che esistono nel sottosuolo almeno 70 miliardi di metri cubi di gas. Ogni anno ne estraiamo in tutto poco più di 3, di cui 1,5 trivellando la terra, la sola Basilicata ne estrae uno. Da sotto il mare estraiamo quasi 2 miliardi di metri cubi.
Le zone più ricche sembrano essere la A, che riguarda l’alto Adriatico, poi ci sono il basso e medio Adriatico. La zona da cui si estrae di più è Napoli, dove ci sono riserve per 35 miliardi, infine abbiamo Sicilia e Puglia.
La zona A è quella più delicata per il fenomeno della subsidenza, il delta del Po presenta terreni argillosi che si compattano anche di qualche millimetro l’anno. Negli anni passati il problema era l’emungitura di acqua dalle falde, ora che non lo facciamo più il fenomeno è molto contenuto. Basterebbe ricordare l’impatto di Porto Marghera, la cui costruzione ha comportato l’esplosione dei consumi d’acqua in quegli anni. Quel polo industriale andava a incidere direttamente sulla tenuta del territorio di Venezia.
Sui tempi e i modi per aumentare la nostra produzione di gas, però, ci sono molti dubbi. Servono dodici mesi per una nuova legge sulle autorizzazioni, l’iter burocratico successivo può essere di una quindicina di mesi: ne servono almeno diciotto per costruire una nuova piattaforma e mandarla in produzione.
Attualmente in alto Adriatico ci sono solo dei punti di ricerca sperimentale, privi di qualsiasi infrastruttura. Insomma, il nuovo gas potrebbe essere disponibile tra 4 o 5 anni, nel 2027, si potrebbero così avere 5 o 6 miliardi di mq in più all’anno, che con la produzione attuale potrebbero portare la somma complessiva della nostra quota di autoproduzione dal 5 al 14 per cento: una quantità non in grado di calmierare il mercato.
I vantaggi sarebbero costituiti da un minor impatto ambientale, in quanto il gas non dovrebbe correre per chilometri dentro i metanodotti. Per il nostro Paese aumenterebbero le royalty, ovvero le quote del prezzo che chi estrae deve versare allo Stato in cui si trovano i giacimenti. Risorse che potrebbero andare per investimenti in energie alternative, e quindi rendere disponibili nuovi impianti eolici e solari per quando, si presume una decina di anni, questi giacimenti si esauriranno. Tra i benefici bisogna inserire, come sempre, i posti di lavoro che si creerebbero e lo sviluppo di nuove tecnologie.
E poi c’è l’effetto granita. Che cos’è? Semplice, chi per primo affonda la cannuccia si prende tutto il succo che c’è sul fondo. Perché, mentre l’Italia è stata ferma nelle trivellazioni nel mare Adriatico, la Croazia è andata a pieno regime aggiungendo nel 2020 ben sei trivellazioni estrattive. Il gas non guarda i confini e, appena trova un punto d’uscita, ci si infila senza guardare bandiere e leggi nazionali. Nelle giornate terse da Rimini si vedono le piattaforme della Croazia.
Allora bisogna domandarsi: Venezia o il Delta del Po sprofonderanno comunque, dal momento che prima o poi la Croazia raggiungerà il bacino ricco dell’Alto Adriatico? Se veramente è pericoloso estrarre, si deve porre una questione internazionale.
Focalizzandoci su Venezia: complessivamente nell’ultimo secolo la città ha perso 26 centimetri, di cui circa 12 per innalzamento del mare legato al clima che cambia, circa 6 centimetri per subsidenza naturale e circa 8 centimetri per subsidenza antropica, in particolare per emungimento delle falde acquifere. Alla fine del secolo, a causa del riscaldamento climatico che provoca l’aumento del livello marino e della subsidenza che ne accelera gli effetti, si stima che a Venezia il livello medio potrebbe crescere tra i 60 e gli 82 centimetri rispetto a oggi. Questo, sommato alla marea, potrà causare acque alte di oltre 2,5 metri, maree incontenibili dal Mose. Tutto questo è dovuto alla subsidenza naturale, non a interventi umani, e non è un processo che può essere limitato facilmente.
Ecco questi sono i dati da cui bisogna partire per prendere una decisione che è tutta politica.