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Educazione fisica: le scuole senza strutture
Non bastano i trionfi e le medaglie. Manca un legame tra scuola e attività fisica. E la situazione delle palestre, anche negli istituti delle nostre province, è ancora inadeguata

Il 2021 sportivo italiano è stata un trionfo con il record di medaglie a Olimpiadi e Paralimpiadi e le vittorie agli Europei delle nazionali di calcio maschile e di volley femminile. Tutti ci siamo appassionati alle vittorie delle nostre squadre e dei nostri atleti, senza contare il seguito che hanno, nonostante le difficoltà della pandemia, i campionati più importanti. Campioni e campionesse non nascono però dal nulla o solo per il talento, ma grazie al lavoro di allenatori, società sportive, federazioni.
Quello che manca è il legame tra scuola e attività sportiva, ancora poco consistente. “Sono due mondi diversi - spiega Carlo Carra, docente di scienze motorie all’Istituto Palladio di Treviso - in cui le eccellenze dei professionisti non corrispondono alla realtà della società: solo 4 persone su 10 fanno attività motoria sufficiente, e solo 2 su 10 possono essere considerate sane. I risultati e i trofei sono solo una parte della questione, manca formazione a lungo termine e nelle scuole, per come sono strutturate oggi, è difficile dare certe risposte: un conto è l’educazione motoria, un altro è la prestazione di alto livello”.
Secondo Carra, il peso dell’attività motoria in ambito scolastico dovrebbe essere concentrato nei primi gradi dell’istruzione, specialmente infanzia e primaria. “Nella fascia 6-11 anni il 40% dei bambini è obeso e si porterà il problema in età adulta. E’ un costo sociale che pagheremo in termini di spesa sanitaria e di malattie. Molte delle patologie moderne (ipertensione, diabete, mal di schiena) potrebbero essere prevenute solo avendo un approccio complessivo alla questione. Adesso si fa tutto a pezzettini, c’è chi fa movimento, ma mangia male, chi mangia bene, ma è sedentario, chi esagera con gli sforzi e chi non fa nulla”. La pratica sportiva nella fascia giovanile viene normalmente intesa in chiave agonistica e competitiva ed è demandata alle società, ai club, oppure, col crescere dell’età, a pratiche individuali, spinte anche dal Covid. “E’ un problema di volontà e di cultura - aggiunge Carra -, basta uscire fuori dal confine in Francia o Germania, per capire come dovrebbe essere l’approccio. Da noi purtroppo c’è una sovrapposizione di competenze. A mio parere la scuola è il luogo dove si dovrebbe fare sport, l’agonismo si fa da un’altra parte”.
Ed è anche questione di strutture, di palestre, piscine o campi di gioco, se si considera il panorama degli impianti esistenti nel nostro territorio diocesano. Solo considerando le scuole superiori si contano appena 44 strutture coperte per 39 mila studenti che frequentano gli istituti. In molti casi si tratta di edifici datati, condivisi anche da più scuole o distanti dalla sede. La conseguenza è che alcune classi spendono buona parte dell’orario per gli spostamenti a bordo di mezzi pubblici, che sono a loro volta un costo. “Non bisogna pensare solo all’ambiente interno - aggiunge Valter Durigon, già docente e oggi allenatore e formatore - che pure ha la sua importanza. L’educazione fisica, come ancora si chiama alla scuola media, è l’unica disciplina che parla del corpo e fa parlare il corpo. La parola sport deriva dal francese antico «desport» che significa svago, divertimento. E per farlo bisogna uscire di casa, anche solo per camminare o pedalare, senza alcuna competizione. Purtroppo, le nostre case sono sempre più comode e si arriva al paradosso di dover pagare per fare attività fisica”.
Durigon è da qualche anno l’organizzatore del festival Sport e Cultura promosso dal Comune di Montebelluna e sul tema ha scritto diverse pubblicazioni e approfondito alcuni studi. “Il miglior attrezzo per mantenersi in forma sono le scale, tutto il resto sono imitazioni. Prima della pandemia mi ero occupato di come fare fitness in casa con pochissimi attrezzi a disposizione. Da ex insegnante so che le ore a disposizione sono poche, ma si può incidere sullo stile di vita, rendendo gli studenti autonomi, affinché si approprino dell’attività del movimento. E’ all’individuo che appartiene la propria salute”.
Sugli aspetti strutturali Durigon è molto critico, ma non rassegnato. “In generale penso che la situazione sia carente rispetto alle esigenze, insufficiente rispetto al fabbisogno. La progettazione degli impianti dovrebbe esser concertata con chi poi le deve utilizzare. Il magazzino di un palestra, ad esempio, deve avere un accesso direttamente sul campo. In Francia è un laureato in scienze motorie che affianca la progettazione delle strutture destinate all’attività fisica. Servirebbe un approccio multidisciplinare per pensare gli spazi scolastici, che dovrebbero essere anche a disposizione della cittadinanza”.
In base alla sua esperienza professionale e personale prettamente nel contesto urbano di Treviso, Durigon sottolinea una contraddizione. “Questa città è sempre stata vivace dal punto di vista sportivo, con tantissime società attive anche nella stessa disciplina, ma questo non è stato accompagnato da un’implementazione delle strutture. Anzi, molte sono state cancellate e non sostituite. Pensiamo alle palestre Verdi e alla pista di atletica dove ora c’è il Tribunale, al pattinodromo diventato un parcheggio, al Gymnasium a Santa Margherita, all’Oriens vicino all’ex Gil, all’altra pista di atletica alle Stiore”.
Per quanto riguarda il contesto scolastico “gli istituti dentro la cinta muraria sono poco attrezzati, quelli in zona Monigo, nati con l’idea del «camp», non lo sono mai diventati. A mio parere, le iniziative private come la Ghirada, sopperendo alla carenza di impianti, hanno anche affossato l’iniziativa pubblica. Servirebbero strutture non solo per gli studenti, ma per tutti i cittadini affinché possano fare attività spontanea, anche diffusa nei tanti spazi verdi esistenti. Spesso infatti sono le città a essere obese prima delle persone. Idee e proposte ce ne sono, ma restano chiuse nei cassetti”.
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