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Le virtù del ballottaggio

Il costituzionalista Stefano Ceccanti analizza le elezioni Francia e nel Regno Unito. Rispetto a “vizi” e abitudini italiane
11/07/2024

Perché loro sì, e noi no, anche se, qualche volta, ci abbiamo pure provato? Perché, nel Regno Unito, la democrazia dell’alternanza funziona (in questo caso con la netta vittoria dei Laburisti del nuovo premier Keir Starmer) e il giorno dopo le elezioni il premier ha già pronta la lista dei ministri? E perché, pur in un clima di grande frammentazione e incertezza, i politici e cittadini francesi dimostrano di saper “utilizzare” il ballottaggio per fare fronte comune tra forze diverse, senza “giochetti” ed egoismi, com’è avvenuto in occasione delle elezioni parlamentari di domenica scorsa, che hanno fatto retrocedere l’estrema destra di Marine Le Pen da primo a terzo schieramento del Parlamento? Da queste domande parte la conversazione con il prof. Stefano Ceccanti, docente di Diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma, sempre attento e competente nell’analizzare anche quanto accade negli altri Paesi.

Professore, dopo l’esito delle elezioni nel Regno Unito e in Francia, quali sono le “lezioni” principali da trarre, agli occhi di un costituzionalista esperto di Sistemi istituzionali?

Le elezioni del Regno Unito esprimono una fisiologia classica da democrazia dell’alternanza. Il lungo ciclo dei Conservatori ha perso la sua spinta propulsiva nelle sabbie mobili della Brexit, che ha determinato un “voto sanzione”. Indubbiamente, il laburista Starmer ha vinto soprattutto per questo giudizio retrospettivo negativo, ma ha avuto, comunque, il merito di far trovare il suo partito pronto, avendolo depurato dal massimalismo degli anni precedenti. Si è manifestata una certa frammentazione, ma perché, sicuri dell’esito, molti elettori hanno dato un voto in libera uscita. Ci sono tutti gli elementi, in prospettiva, per un rilancio del bipartitismo tradizionale, nonostante le preoccupazioni dei Conservatori per la concorrenza, a destra, di Nigel Farage. Il voto francese ha, invece, manifestato la maggiore frammentazione dei sistemi continentali. Se si esclude l’anomala situazione ungherese, era l’ultimo Paese ad avere un governo monopartitico. Negli scorsi anni, sono venuti meno anche i Governi monopartitici di Spagna e Portogallo. Tuttavia, non è accaduto quanto temuto da molti, ossia una maggioranza assoluta del più preoccupante partito antisistema, quello di Marine Le Pen, o, comunque, una maggioranza assoluta di Le Pen e del partito di Jean-Luc Mélenchon, Lfi, che, con forme diverse, e in questo caso da sinistra, è pure antisistema.

Quanto contano istituzioni solide e processi elettorali chiari per una democrazia, soprattutto in tempi difficili?

Il Regno Unito ha un radicamento democratico e incentivi forti al bipartitismo, mentre i sistemi continentali soffrono. Per la verità, si sono un po’ tutti avvicinati ai difetti italiani, anche se possiedono, tuttora, una stabilità delle regole elettorali e un certo livello di razionalizzazione delle Costituzioni, a favore di Governi stabili ed efficienti, che li rendono più forti rispetto a quanto accade in Italia.

Questione soltanto di solidità istituzionale o anche e soprattutto di abitudini e stili politici? In Italia una convergenza come quella vista in questi giorni in Francia, con l’asse repubblicano, appare impensabile...

Entrambe le cose. Teniamo, in particolare, presente che, a causa della memoria negativa del regime di Vichy, durante la Seconda guerra mondiale, ancora oggi la frontiera tra centrodestra ed estrema destra, in Francia, è avvertita come un vincolo forte, nonostante l’espansione di quest’ultima. Inoltre, il doppio turno è uno strumento fondamentale anti estremisti. De Gaulle lo introdusse nel 1958 per contenere il Partito comunista, che all’epoca era il più organizzato.

L’esito del secondo turno in Francia era, quindi, prevedibile?

Era prevedibile che il partito di Le Pen non potesse arrivare alla maggioranza assoluta, e neppure che la potesse anche solo sfiorare. Non era prevedibile, però, che scendesse addirittura al terzo posto, dietro alla sinistra e al centro di Macron. Questo significa che il Rassemblement national è ancora percepito come un partito estremista, nonostante qualche tentativo di moderazione negli ultimi mesi.

Il ballottaggio, in particolare, in Italia funzionerebbe come in Francia? Da un lato, sembra frenare gli estremismi, ma, per esempio, in altri continenti non ha impedito delle polarizzazioni anche molto forti...

Nessuno strumento da solo fa miracoli. Se, però, vogliamo i vantaggi di un sistema decidente, in cui gli elettori, di norma, possano determinare chi vince le elezioni, e non avere lo svantaggio per cui un gruppo estremista possa vincere da solo con una maggioranza relativa, nella frammentazione altrui, il ballottaggio è uno strumento importante. Ottimo anche per l’Italia.

Il centrodestra, però, sta in queste settimane pensando di eliminarlo dove esiste, cioè alle Comunali. Cosa ne pensa?

Che si sbaglia. L’eletto, al secondo turno, ha quasi sempre più voti di quello che era arrivato davanti al primo turno. Quelli portati dal centrodestra, sono casi limite, abbastanza inusuali. Il sistema abitua l’elettorato al fatto che, al momento decisivo, egli individui il bene possibile, o male minore che dir si voglia. Il ballottaggio fa scegliere direttamente e, al tempo stesso, disincentiva gli estremisti. E’ una questione che va affrontata sul lungo periodo e non sulla base delle convenienze immediate.

In ogni caso, in Francia, non c’è, a oggi, una chiara prospettiva di governabilità, come se ne uscirà a suo avviso?

Se ne uscirà in qualche modo escludendo gli estremi, Le Pen e Mélenchon e questo va comunque bene. Vale, però, la pena di ricordare alcuni passaggi. Dopo l’elezione del presidente dell’Assemblea nazionale, che sarà un primo test importante, il Presidente della Repubblica nominerà un nuovo Primo ministro. Il Governo entrerà in funzione subito, senza bisogno di chiedere la fiducia iniziale. Spetta ai gruppi di opposizione presentare una mozione di sfiducia, che però deve avere la maggioranza assoluta. Se, quindi, non è agevole individuare i confini della nuova maggioranza e tanto meno il nuovo Primo ministro, la nascita di un nuovo esecutivo appare comunque meno gravosa di quanto si possa pensare, mentre Macron proseguirà nel suo mandato.

Restando in Francia, dove, con la Quinta Repubblica, non si è mai affermato un partito di ispirazione cristiana, si può ipotizzare un contributo dei cattolici all’esito di queste elezioni?

Direi che l’editoriale contro l’estrema destra del quotidiano cattolico “La croix” è stato importante, e si è riallacciato a una grande tradizione, che passa per Jacques Maritain, Emmanuel Mounier e Jacques Delors, che, seppure non molto presente, è stata data per morta in modo troppo semplicistico.

Venendo invece al Regno Unito, lì non scandalizza che chi ha una maggioranza solo relativa, attorno al 30%, abbia un’ampia maggioranza di seggi. Come mai, qui in Italia, quando ciò è accaduto, in particolare dopo le elezioni del 2013, la cosa è stata vista come non accettabile?

Ci sono due riposte. La prima: non è la stessa cosa il fatto che la maggioranza parlamentare sia il prodotto naturale di tante competizioni diverse nei collegi, e non di un premio nazionale, che è sempre un artificio, e che per questo dev’essere proporzionato. La seconda: in realtà, stavolta ciò è accaduto per ragioni contingenti. Tutti erano sicuri che vincessero i Laburisti, e quindi in molti hanno votato in modo libero, per Liberali, Verdi, o Farage. Ma, nel lungo periodo, il sistema tornerà a polarizzarsi sui due schieramenti.

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