Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
Costituzione, via maestra
Proprio a ottant’anni dalla Liberazione, rischiamo di trovarci davanti alle macerie della democrazia. Un grido d’allarme, a cui è legata la conseguente considerazione: “Siamo a un tornante della storia, ma il paradosso è che la nostra Carta Costituzionale, di questo sono particolarmente convinta, contiene strade, strumenti e mezzi per uscire da questa crisi. Le risposte alla crisi di oggi sono in quella Carta che si vorrebbe cambiare e snaturare”. Lo afferma Rosy Bindi, più volte ministra e parlamentare, che da qualche anno ha lasciato la politica attiva, non cessando, però, di proseguire in vari modi la sua attività di militanza e di analisi culturale, in varie realtà. Giovedì 6 febbraio sarà a Treviso, per aprire la scuola di formazione socio-politica di Sant’Agnese. All’auditorium San Pio X, con inizio alle 20.30, affronterà il tema “I valori della Costituzione”. L’abbiamo intervistata, partendo dal difficilissimo contesto politico internazionale.
Davvero, la democrazia, nel nostro Occidente, è a rischio, a suo avviso?
Effettivamente, rischiamo di trovarci davanti alle macerie della democrazia, o, quanto meno, alla sua mutazione genetica, rispetto a quella che è stata costruita dopo la Seconda guerra mondiale. Un fenomeno che riguarda gli Stati Uniti, dopo la vittoria di Donald Trump e i suoi primi passi da presidente, l’Europa, tutto l’Occidente.
Come ci siamo arrivati?
A mio avviso, le cause sono sostanzialmente due. In primo luogo, la democrazia non vive senza un orizzonte spirituale, senza le sue radici profonde di libertà, giustizia, pace. Dev’essere alimentata da valori, da, appunto, una profondità spirituale, non necessariamente religiosa, anche se noi conosciamo bene l’importanza che il pensiero di Jacques Maritain, e di altri cristiani, ha avuto nella costruzione delle democrazie europee. Negli ultimi decenni, l’avanzata della secolarizzazione ha “seccato” queste radici profonde. La seconda causa, è la frattura che si è creata tra democrazia e capitalismo, la politica e il diritto hanno cessato di guidare e orientare i processi economici. È venuto meno il fine sociale dell’impresa, un elemento portante della ricostruzione dopo la guerra, in Europa e soprattutto in Italia. Dalle macerie, ci siamo sollevati perché abbiamo messo davanti, tutti insieme, i diritti, i beni comuni, il lavoro, la scuola, la sanità...
Come è cambiata l’economia?
Il grande processo di globalizzazione, che ha avuto anche molti effetti positivi, è stato connotato dalla finanziarizzazione dell’economia. Intanto, la politica, rimaneva chiusa nei confini nazionali, incapace di guidare i processi verso il bene comune. La conseguenza di tutto ciò, è stata la rottura del rapporto tra benessere e democrazia. Durante questi ottant’anni le democrazie hanno garantito, in Occidente, pace e benessere. Ora, entrambi sono messi in discussione. Il ceto medio si è impoverito, i poveri sono aumentati, le diseguaglianze sono cresciute. E tutto questo ha portato a un distacco. La responsabilità maggiore è di chi ha un ruolo guida, ma la democrazia vive grazie al senso di responsabilità di ciascuno di noi, valori e beni comuni non sono assicurati, ma vanno coltivati. Ecco il tornante in cui ci troviamo, e il paradosso è, appunto, che si vuole cambiare quella Costituzione che contiene, al suo interno, le risposte alle sfide di oggi.
Sono davvero pericolose, a suo avviso, le riforme costituzionali oggi intraprese?
Sono progetti già in stato avanzato e sono destinati, se realizzati, a snaturare profondamente la nostra Costituzione. Aggiungo che, oltre ai progetti espliciti di cambiamento della Carta, ci sono le riforme striscianti, che tolgono alla democrazia il connotato della giustizia, che mettono in atto un percorso di indebolimento dei beni comuni, quelli che citavo prima: lavoro, scuola, salute. Don Milani diceva che, quando ci troviamo davanti ai problemi, uscirne insieme è politica, uscirne da soli è avarizia. Ecco, stiamo entrando nel tempo dell’avarizia
Andiamo con ordine, e partiamo dal premierato.
Con questa riforma il popolo sovrano si consegna al sovrano del popolo, questo è il nocciolo della questione. Si dice no a una democrazia parlamentare, pluralista, partecipata. L’elezione diretta del Capo del Governo viene legata strettamente all’elezione del Parlamento. Toglie valore alla partecipazione dei cittadini. Il sovrano del popolo si arroga il diritto di interpretare il popolo. Ma l’articolo 3 della Carta chiede, invece, di rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione.
Eppure, c’è chi afferma che oggi, in un mondo più “complesso” ma anche più “veloce”, serve un Governo in grado di decidere rapidamente. In fondo, anche il Pd, con la proposta firmata da Cesare Salvi, proponeva la strada del premierato.
Se è per questo, io dicevo di no anche allora. Va detta una cosa, con chiarezza: nell’attuale maggioranza di centrodestra ci sono forze che oscillano tra uno spirito anti-repubblicano e a-repubblicano. Fratelli d’Italia è “nipote” di un partito che non ha votato la Costituzione. La Lega è nata nel momento in cui era iniziato l’affrancamento da un periodo politico caratterizzato dal patto costituzionale. Quanto a Forza Italia, ricordo che Silvio Berlusconi definì “sovietica” la Costituzione per dei principi economici che, invece, sono quelli della Dottrina sociale della Chiesa. Detto questo, va pure sottolineato che ci sono stati tanti cedimenti anche tra gli “eredi” della Costituzione. Ci sono stati dei tentativi, il popolo è stato saggio e li ha bocciati. Nel merito: anche in una società complessa, è illusorio dire: “Rinunciamo alla partecipazione”. Anzi, più complessi sono i problemi, più devono essere condivisi, approfonditi, capiti. Siamo in cerca di scorciatoie, questo tempo ci chiede una strada maestra.
Che dire, invece, sulla separazione delle carriere dei magistrati?
Si tratta, anche in questo caso, di una modifica profonda della nostra Carta. Trovo condivisibile la critica che viene fatta dai magistrati. E c’è un punto essenziale. Io vorrei un pm, paradossalmente, “più giudice del giudicante”, no un “superpoliziotto”. Un pm che si metta nei panni del giudicante.
Perché no all’autonomia differenziata?
Perché mette un sigillo definitivo al problema delle diseguaglianze territoriali, che affligge il nostro Paese. Il suo impianto, però, è stato distrutto dalla Corte costituzionale, e il Parlamento non potrà non tenerne conto.
E cosa diciamo ai veneti, che l’hanno chiesta e continuano a chiederla a gran voce?
Ai veneti bisognerebbe spiegare che il paradosso della legge Calderoli è quello di imprigionare l’autonomia dentro al sovranismo. Oggi, invece, serve un orizzonte sovranazionale. Il principale tema è che si pretenderebbe, o si sarebbe preteso, prima della sentenza della Corte, di poter assegnare alle Regioni 23 materie e 500 funzioni, e che alcune di queste, invece, se fossimo saggi, dovremmo conferirle all’Europa. Pensiamo al tema dell’energia, della ricerca. Pensiamo all’istruzione, in un momento in cui dobbiamo dare ai giovani le “chiavi” per stare al mondo. Tutto questo, dovrebbero capirlo bene gli imprenditori più illuminati, che vivono di esportazione.
Nel centrosinistra c’è fermento tra i cattolici e le componenti più riformiste, come si è visto dai convegni di Milano e di Orvieto. Come vede la questione?
Intanto, mi pare che i due convegni avessero in comune solo il desiderio di creare delle correnti, mentre sui temi c’erano idee molto diverse, o addirittura opposte, dalle riforme, alle questioni sociali, fino all’Ucraina. Sinceramente, guardo con più speranza alle Settimane sociali, alle iniziative formative che vengono messe in piedi in ambito cattolico. Questo non significa che il dibattito interno ai partiti non sia importante, e conosco il mondo della politica, ma vorrei che fossero condotti con più genuinità. Sul Partito democratico, sono la prima ad auspicare più dialogo, confronto, apertura all’esterno. Tempo fa, avevo parlato di “scioglimento”, in riferimento al Pd, ma intendevo dire il desiderio che il partito “si sciogliesse” nei mondi di riferimento ideali, nella società, per dare vita a una fase veramente costituente. Quando il Pd è nato, c’era un altro mondo. Il famoso discorso “del Lingotto” pronunciato da Walter Veltroni, è per molti aspetti superato. Ora, per esempio, si avverte la necessità di una politica capace di regolare Elon Musk e l’intelligenza artificiale. Di fondo, resto convinta che la ricchezza del Pd sia proprio il dialogo e la valorizzazione delle culture di provenienza. Non a caso, invece, i partiti socialdemocratici, in Europa, rischiano di scomparire.
E i cattolici, quindi?
Anche alla luce di Milano e Orvieto, prendiamo atto che il mondo cattolico è pluralista. Dobbiamo dircelo, su tanti temi noi cattolici la vediamo diversamente. Questo aspetto non va taciuto. Insieme, però, servono più Dottrina sociale, più preparazione culturale. Un percorso che, prima di tutto, va fatto nella vita ordinaria delle parrocchie, delle associazioni, delle comunità. Vorrei vedere questo processo, e un impegno politico che faccia seguito a un cammino di discernimento.