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Cina, la vera sfida

“Ho intenzione di fermare le guerre”. E’ la frase di forte impatto pronunciata da Donald Trump. In realtà, gli scenari futuri sono densi di incognite, come spiega l’analista politico Emanuel Pietrobon
14/11/2024

“Io non ho mai iniziato le guerre. Io ho l’intenzione di fermare le guerre”. Per noi europei, a pochi passi da due fronti di guerra come quello ucraino e quello mediorientale, quelle pronunciate da Donald Trump nel suo discorso per la vittoria alle elezioni sono state, forse, quelle di maggior impatto. “La sua è stata un’affermazione molto potente e molto suggestiva. Ma Trump non può fermare le guerre”. Ne è convinto Emanuel Pietrobon, analista politico e consulente sui temi della sicurezza nazionale e della politica estera, autore di diversi libri, tra cui il più recente è “Il mondo secondo Putin”, con Castelvecchi.

Pietrobon, cosa si cela dietro questa affermazione di Trump?

Il presidente eletto sta cavalcando la stanchezza trasversale per le cosiddette “guerre infinite”, che iniziano, ma non finiscono prima di vent’anni e più, come accaduto in Afghanistan. In questo momento, gli Stati Uniti sono più presenti in Medio Oriente che in altre regioni strategiche, come l’Indo-Pacifico. La grande sfida, per gli Stati Uniti, non è più rappresentata dal terrorismo islamico, ma dalla Cina. L’imperativo strategico degli Usa, chiunque abiti alla Casa Bianca, è disimpegnarsi dal Medio Oriente e poter dedicare le risorse necessarie al vero nemico di quest’epoca: la Cina.

Ma se il conflitto tra Israele e Iran dovesse esplodere, è realistico un totale disimpegno Usa da quell’area?

No, dare in linea teorica l’ok a Netanyahu per una guerra totale va in senso contrario al disimpegno. E non dobbiamo dimenticare che l’Iran non è il Libano. E’ illusorio pensare a una caduta del regime di Teheran senza conseguenze. Si aprirebbe un buco nero, come è accaduto in Libia.

Torniamo al conflitto con la Cina, dove un ruolo centrale lo svolge Taiwan: perché?

Taiwan non è strategica solo per la produzione di semiconduttori. Gli Stati Uniti non possono abbandonarla, perché rappresenta un anello fondamentale nella catena di isole, saldamente allineate agli Usa, che vanno dal Giappone alle Filippine, e che permettono di concretizzare la cosiddetta “Dottrina del contenimento marittimo” nei confronti della Cina. Perdere Taiwan significherebbe aprire una breccia in questa “muraglia”.

Anche in questo caso, si tratta di un imperativo strategico che prescinde da Trump?

Esatto. Durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno capito che devono controllare il Pacifico occidentale. Una guerra contro la Cina sta diventando sempre più probabile. Kissinger era convinto di ciò, come lo sono anche io, e pensava che non ci rimanessero più di 8-10 anni per evitare una nuova guerra mondiale.

Evitare la guerra è possibile?

Si tratta di capire se si può giungere a un accordo, come su Hong Kong e Macao, che sono sotto la sovranità cinese, ma con un certo grado di autonomia. Gli scenari alternativi sarebbero moltissimi, ma al momento la volontà non c’è, né da parte degli Usa né da parte della Cina, che ha dimostrato di essere disposta ad annettere Taiwan con la forza. Per la Cina, si tratta di conquistare la propria egemonia marittima che attualmente non ha, pur affacciandosi sull’Oceano.

Perché si tratta di un obiettivo inconciliabile con le strategie Usa?

Perché, a prescindere da chi sia il presidente in carica, gli Usa vogliono mantenere il mondo unipolare. O bipolare, ma alle loro condizioni. Il mondo di oggi non è conveniente agli Usa. Se la gerarchia fosse stata rispettata, la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina, e la Cina non farebbe quello che fa. Per gli Usa, si tratta di far rispettare una gerarchia che Russia e Cina non vogliono accettare. Anche la Russia vuole riaffermare la propria gerarchia perduta all’interno dello spazio ex sovietico, un mondo in frammenti che orbita tra Cina, Turchia e Occidente.

A questo proposito, che ne sarà dell’Ucraina?

E’ probabilissimo che il conflitto venga congelato. Trump è disposto a fare concessioni a Putin in chiave anti-cinese. Intende rompere l’alleanza sino-russa facendo leva sulle contraddizioni che la rendono fragile. E’ il metodo Kissinger della diplomazia triangolare, con la differenza che durante la Guerra fredda era la Cina il “junior partner” della Russia. Oggi è il contrario».

Quali potrebbero essere le concessioni che Trump intende fare?

Per la Russia il principale interesse è l’Ucraina. Tra le ipotesi, uno stop al suo ingresso nella Nato, cedere territori alla Russia e stabilire una linea di demarcazione controllata da truppe europee. La contropartita è l’allontanamento della Russia dalla Cina.

Può funzionare?

Cina e Russia conoscono il metodo Kissinger. E poi, rispetto alla Guerra fredda, sono convinte di potercela fare: l’ordine americano non è mai stato così fragile e dai sostenitori di un mondo multipolare gli Stati Uniti sono considerati una potenza in declino.

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